lunedì 17 marzo 2008

Tibet: Sangue e violenza sui blog e Youtube

Sangue e violenza sui blog e Youtube

Il Riformista del 17 marzo 2008, pag. 1

di Emanuele Giordana

«Essere un rivoluzionario dà più soddisfazione dello status quo», scrive Tsering Yangzom. «Un milione di grazie a chi partecipa a questa protesta» posta Bodh Gyalo. Messaggi da Lhasa e dalla diaspora in giro per il mondo. Che si sommano all'unico testimone occidentale con taccuino nella capitale tibetana, il corrispondente dell’Economist che, sfruttando la rete, racconta sul sito ordine del settimanale britannico queste ore coperte dal fragoroso silenzio della censura.



Il Grande fratello mette mano alla rete e, racconta il blog studentsforafreetibet, blocca l'accesso dal Tibet a Youtube che, mesi fa, diffuse il contestato video choc in cui si vedeva un fucile dell'esercito popolare fare secco un profugo tibetano che tentava di varcare le frontiera. Ma la Rete è difficile da fermare. C'è chi riesce a scrivere da lì. Come il poeta Rakra Tethong, che diffonde un "Poema per i marciatori" che ormai gira, rigidamente in tibetano, su tutti i siti filotibetani come TibetPeople's Uprising, uno deipiù informati. Le parole dei blogger tibetani hanno anche un sito - Tibetblogs -che si occupa di farle girare: c'è un po' di tutto, anche il racconto del primo giorno in Tibet di Rigzin, forse un figlio di esuli che vive in America e che in giugno ha visitato il suo paese.



La capitale sembra normalizzata, ma solo in parte. «Dopo ore di scontri il 14 - scrive il giornalista dell’Economist - un anello di truppe ha circondato il grande quartiere tibetano durante la notte. Ma il giorno seguente alcuni residenti hanno continuato ad attaccare i negozi cinesi che ancora erano rimasti intatti... in molti casi appiccando fuoco in una zona dove si trova la maggior moschea della città e dove vivono gli Hui, una minoranza musulmana cinese i cui membri controllano buona parte del commercio di carne della capitale». Racconta dunque anche di questa guerra nella guerra con gli Hui, che si preparano a contrattaccare -dice - mentre, nei giorni a seguire, la protesta ha rallentato «con qualche lancio di sassi» e colpi sparati dalle forze di sicurezza. Tensione palpabile dunque anche se, aggiunge l’Economist, al suo corrispondente - l'unico giornalista occidentale con un permesso ufficiale - è stata offerta la possibilità di lasciare in sicurezza la città ma senza l'ordine di farlo.



Le mille fonti non ufficiali, che attraverso i sistemi più complicati arrivano al quartier generale del Dalai Lama a Dharamsala, hanno fatto salire il bilancio dei morti ad almeno ottanta vittime. E si è allargata ad altre tre province cinesi la protesta della popolazione tibetana contro la repressione di Pechino. Si tratta del Sichuan, dove, secondo il Centro tibetano per i diritti umani con sede in India, gli scontri tra la polizia e i manifestanti hanno fatto sette vittime, della provincia di Qinghai e di quella di Gansu.Nella prima, un centinaio di monaci hanno sfidato l'ordine di restare nel monastero di Rongwo, nella città di Tongren, arrampicandosi su una collina, da dove hanno sparato fuochi d'artificio e bruciato incenso.



Dal terreno vero e proprio del resto le testimonianze sono relativamente poche e le informazioni si raccolgono compilando un puzzle di parole arruffate, punti di vista, commenti. Anche Irrawaddy, il sito Internet della testata birmana di opposizione che ha sede in Thailandia e che ci informò della rivolta porpora dei monaci, da il suo contributo: scrive che Lhasa è sotto coprifuoco.



Ci si aiuta con le rare immagini e i filmati: su Youtube, "Amdo" ha postato un montaggio di fotografie con un sonoro che non esclude i colpi di pistola e in cui si vedono le auto della polizia incendiate, i negozi dati alle fiamme e le strade con i resti della battaglia o gente che tira sassi ai camion. Un cinese, probabilmente, ha postato invece un filmato di alcuni tibetani che fanno a botte e in cui un poveraccio in motorino viene attaccato dalla folla inferocita. Suggerisce la caccia all'Han, al cinese cattivo, e commenta «ecco come i pacifici tibetani...». Anche Internet è un'arma, oltre che di democrazia, di propaganda. C'è posto anche per le confidenze di un cinese trapiantato in Tibet, Jiang Fengwu: «È dura far soldi quaggiù con tutta questa gente che arriva, come i businessman che vengono dalla provincia di Zhejiang. Io posso solo dire grazie all'aiuto di tanti tibetani amici. E credo proprio che la loro cultura tradizionale debba continuare a vivere». Lo ha postato sulla Bbc dove la censura cinese non riesce ad arrivare.

Nessun commento: