venerdì 29 febbraio 2008

Viale: «Pericolosa la Ru486? La gravidanza è più rischiosa»

Viale: «Pericolosa la Ru486? La gravidanza è più rischiosa»

Liberazione del 29 febbraio 2008, pag. 6

di Davide Varì

Non bastava la campagna contro la legge 194, ora nel mirino del giornale dei vescovi italiani è partita un'altra campagna: quella contro la Ru486, la molecola abortiva che evita qualsiasi intervento chirurgico. A scatenare l'indignazione di Avvenire la decisione dell'Aifa, l'Agenzia del farmaco italiana, che appena qualche giorno fa ha dato il primo ok ufficiale al farmaco che consente un aborto non invasivo. Troppo facile abortire senza sofferenze, senza bisogno di interventi chirurgici e di ospedalizzazioni.


Ma questa volta Avvenire non brandisce, come fa di solito, la difesa della vita. Per portare avanti la sua nuova battaglia il giornale cattolico mette in primo piano la salute della donna. Insomma, sostituendosi ai "trials clinici" dell'"European Medicines Agency" e di quelli della "Food and Drug Administration", il giornale mette in guardia dai presunti rischi mortali e dai "pericolosissimi" effetti collaterali di questo farmaco: indice di mortalità, complicazioni e scarsa efficacia. «Balle», sbotta Silvio Viale. «Balle in piena regola», ripete il medico che per primo ha sperimentato la Ru486 subendo gli strali dei "defensor vitae" nostrani.

Dottor Viale, Avvenire di ieri l'altro ha dedicato un'intera paginata ai rischi mortali della Ru486...
Penso che sia un clamoroso autogol. Portare la battaglia contro l'aborto medico su un piano scientifico significa, per loro, perdere la battaglia.

Iniziamo dalla mortalità. Secondo il giornale cattolico ci sarebbero 16 morti accertate, causa diretta del farmaco. Conferma?
Assolutamente no. Negli Stati Uniti le morti dovute a infezione sono 6 che corrispondono a uno 0,8 per centomila casi. Un dato del tutto analogo a quello della mortalità dell'aborto spontaneo. Senza contare che la mortalità in gravidanza è cento volte superiore di quella dell'aborto chirurgico e dieci volte di quello medico.

Sta dicendo che portare avanti la gravidanza è più rischioso che abortire?
Non lo dico io, lo dicono i dati. E' evidente che si tratta di un paradosso, io non consiglierei mai a una donna di abortire per evitare complicazioni in gravidanza. Detto questo, come ha ribadito l'Agenzia europea del farmaco e la Food and Drug Administration, non c'è nesso tra queste morti e la Ru486. Aggiungo inoltre che tante altre morti non c'entrano nulla con la 486 ma riguardano l'ostetricia in generale. Per quel che riguarda la "Clostridium sordelii" - l'infezione responsabile di alcuni decessi - dopo le segnalazioni e il monitoraggio predisposto dalle autorità americane si è scoperto che è causa di morte in tanti altri campi della medicina.

Ma Avvenire parla anche di tante complicanze: emorragie, gravidanze extrauterine e così via...
Le complicanze sono possibili in tutti gli aborti. Ma di certo le complicanze dell'aborto medico sono notevolmente inferiori a quelle degli aborti chirurgici. L'ostetricia e la gravidanza in generale sono sempre condizioni di rischio che spesso si sottovalutano e le complicazioni in gravidanza sono sempre superiori a quelle degli aborti anche nei Paesi dove l'aborto è clandestino.

E sull'efficacia? Sempre secondo Avvenire, con la Ru486 molti aborti si prolungano per molte settimane con il rischio conseguente di interventi chirurgici...
In un terzo dei casi i sintomi dopo l'assunzione del farmaco sono poco più di una mestruazione; in un altro terzo danno dolori assolutamente sopportabili e nell'ultimo terzo dei casi è sufficiente un semplice antidolorifico. Nell'aborto chirurgico, invece, serve sempre un'anestesia. Il fatto è che di solito parlano di aborto coloro che non sanno cosa sia. Tendono a esagerare e terrorizzare usando temini come emorragia che di per se non vuol dire nulla se consideriamo che la normale mestruazione è essa stessa un'emorragia.

In effetti le agenzie del farmaco sperimentano la Ru486 da anni...
Certo, dietro la Ru486 c'è un'esperienza ventennale di Paesi come Francia Svezia e Inghilterra. La Food and Drug Administration, nel 2007 ha confermato la sicurezza del farmaco e l'Aifa, superati i momenti i cui i ministri Sirchia e Storace ordinavano di evitare la Ru486 in italia, non può non confermare le valutazioni delle agenzie mondiali.

Un'ultima domanda, stavolta politica: la sua candidatura col piddì in Piemonte ha scatenato le ire dei Teodem. Non è che ha sbagliato partito?
Beh, io sono un Radicale, forse è stato il mio partito ad aver sbagliato alleanza. In effetti sembra proprio che i cattolici del piddì non mi vogliano. Vedremo...

giovedì 28 febbraio 2008

Le religioni, la fratellanza e il totalitarismo

La Repubblica 29.2.08
Le religioni, la fratellanza e il totalitarismo
di Ulrich Beck

Le fedi possono gettare ponti tra gli uomini e nello stesso tempo scavare nuovi abissi dove non ce n´erano
L´identificazione con Dio e la demonizzazione del Dio che gli si oppone

L´umanità della religione reca in sé una tentazione totalitaria. L´universalismo della religione genera la fratellanza al di là della classe e della nazione, ma anche l´ostilità mortale. Così come può civilizzare gli uomini, Dio può anche barbarizzarli.
Prima tesi. La religione presuppone un valore assoluto: la fede – tutte le differenze e i contrasti sociali sono subordinati ad essa e irrilevanti. Il Nuovo Testamento dice: «Davanti a Dio tutti sono uguali». Questa uguaglianza, questa cancellazione dei confini che separano le persone, i gruppi, le società, le culture è il fondamento sociale delle religioni (cristiane). Ne consegue però che, con la medesima assolutezza con la quale sono superate le differenze sociali e politiche, viene istituita una nuova distinzione fondamentale e una nuova gerarchia: quella tra fedeli e infedeli, dove agli infedeli viene negato (in base alla logica di questo dualismo) lo status di persona. Le religioni possono gettare ponti tra gli uomini là dove esistono gerarchie e confini; nello stesso tempo, scavano nuovi abissi religiosi tra gli uomini, là dove prima non ne esistevano.
L´universalismo umanitario dei credenti si basa sull´identificazione con Dio e sulla demonizzazione del Dio che gli si oppone, quello dei «servi di Satana», per usare l´espressione di San Paolo e di Lutero. Il germe della violenza che si richiama a motivazioni religiose è radicato nell´universalismo dell´uguaglianza dei credenti, che toglie a chi non ha una fede o ha una fede diversa ciò che promette al credente: la dignità umana in un mondo di estranei.
Gli dei unici e le loro verità eterne creano le categorie, odiose e gravide di violenza, del non-uomo o del sotto-uomo – «eretico», «pagano», «superstizioso», «idolatra», ecc. Il «male» rappresentato da questi «figli delle tenebre» si riferisce ad azioni e pensieri al di là di qualsiasi immaginazione, di qualsiasi giustificazione, di qualsiasi possibilità di difesa. Questo fa temere che, come rovescio della medaglia del fallimento della secolarizzazione, incomba una nuova era di oscurantismo. I ministeri della Salute avvertono: la religione può uccidere.
La storia della colonizzazione è un esempio evidente di come la categoria dell´infedele, che deve essere convertito per la salvezza della sua anima, sia servita a «legittimare» inimmaginabili violenze e crudeltà. Lo confermano con aperta brutalità le parole di Cristoforo Colombo, per il quale la diffusione della fede «e la riduzione in schiavitù degli infedeli sono strettamente legate tra loro».
La demonizzazione religiosa dell´«altro» è efficacemente illustrata anche dalla «guerra dei matrimoni misti» tra cristiani cattolici e protestanti, infuriata nel XIX e nel XX secolo e tuttora in corso. Questo fondamentalismo confessionale, che non vuole vedere e riconoscere nell´«infedele» l´altro cristiano, incontra un rifiuto sempre più deciso proprio da parte dei fedeli praticanti. Qui, come riferisce Hans Joas, è avvenuta un´inversione dell´onere della prova riguardo alla cooperazione ecumenica: «A dover essere giustificata è sempre più la sua mancanza, non la sua presenza».
Seconda tesi. Già solo la domanda: Cos´è la religione? rivela un riflesso eurocentrico. Infatti, la religione è intesa come sostantivo, e questo sottintende un insieme ben definito di simboli e pratiche che costituiscono un aut-aut: vi si può credere o non credere e, se si appartiene a una comunità di fede, non si può appartenere nello stesso tempo a un´altra. In questo senso è opportuno e necessario tracciare una distinzione tra «religione» e «religioso», tra la religione come sostantivo e come aggettivo.
Il sostantivo «religione» ordina il campo religioso in base alla logica dell´aut-aut. L´aggettivo «religioso», invece, lo ordina in base alla logica del «sia … sia». L´essere religioso non dipende dall´appartenenza a uno specifico gruppo o a una specifica organizzazione; piuttosto, definisce un determinato atteggiamento nei confronti delle domande esistenziali che riguardano la posizione e l´autocomprensione dell´uomo nel mondo.
Forse, allora, l´ambiguità tra amore per il prossimo e inimicizia mortale deve essere riferita non tanto al «religioso», quanto piuttosto alla «religione». Questo aut-aut monoteistico, gravido di violenza, può essere relativizzato, aggirato, attenuato da una tolleranza sincretistica del «sia … sia»?
L´autorità di principio della fede rianimata è l´Io sovrano, che si costruisce un «Dio tutto suo». Ciò che così si delinea non è la fine della religione, ma la rinascita di una nuova anarchia della fede soggettiva, che travalica tutti i confini di religione e si adatta sempre meno alle strutture dogmatiche approntate dalle religioni istituzionalizzate. L´unità di religione e religioso viene meno. Anzi, religione e religioso entrano in contrasto.
Nelle società occidentali, che hanno interiorizzato il principio dell´autonomia dell´individuo, la singola persona si crea, in un´indipendenza sempre più ampia, quelle piccole narrazioni di fede – il «Dio tutto suo» – che si adatta alla «propria» vita e al «proprio» orizzonte di esperienza. Questo «Dio tutto suo» non è più il Dio unico che prescrive la salvezza reclamando per sé la storia e autorizzando all´intolleranza e alla violenza. Stiamo assistendo a un ritono dal monoteismo della religione al politeismo del religioso sotto il segno del «Dio tutto nostro»?
Che questa tolleranza sincretistica non solo si diffonda nello spazio della religiosità svincolata da appartenenze confessionali, ma venga praticata con grande naturalezza anche in forme istituzionali, è un fatto che può essere osservato ad esempio in Giappone. Qui le persone non vedono alcun problema nel frequentare in certi periodi dell´anno un tempio shintoista, nel celebrare il matrimonio con una cerimonia cristiana e nell´essere sepolti da un monaco buddista. Il sociologo della religione Peter L. Beger cita il filosofo giapponese Nakamura, che riassume così la questione: «L´Occidente è responsabile di due errori fondamentali. Il primo è il monoteismo –"c´è un solo Dio?" –; l´altro è il principio aristotelico di non contraddizione – "qualcosa è A o non-A?". Qualsiasi persona intelligente in Asia sa che ci sono molti dei e che le cose possono essere sia A che non-A».
Terza tesi. Se le religioni hanno superato frontiere territoriali e nazionali che sembravano invalicabili e hanno poi scavato nuovi abissi tra credenti e non credenti, qual è la novità, allora? Lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione e la vicinanza universale da esse consentita porta al contatto e alla compenetrazione delle religioni mondiali, provocando un clash of universalisms, cioè uno scontro onnipresente delle verità rivelate e una tendenza alla reciproca demonizzazione dei credenti di altre fedi. Qualsiasi persona, credente o non credente, di qualunque orientamento religioso o non religioso, si vede trasferita contemporaneamente nella patria dei credenti (o degli atei) e nella potenziale condizione dei non credenti (agli occhi di chi appartiene a un´altra religione). Questo trasferimento coatto risveglia e alimenta paure diffuse, che caricano di significati religiosi i contrasti e i conflitti politici, facendoli esplodere violentemente.
Clash of universalisms significa che nella vita privata e nei dibattiti pubblici mondiali si impone inevitabilmente un´esigenza di giustificazione e di riflessività, là dove prima predominava la sicurezza circolare in sé stessi. Rifiutare queste esigenze di giustificazione, cioè perseguire con ogni mezzo la riaffermazione dell´indiscutibilità delle certezze di fede divenute problematiche è l´impegno principale dei movimenti fondamentalisti di ogni parte del mondo.
Qui emerge una nuova linea di conflitto, forse destinata in futuro ad acquisire una straordinaria importanza, cioè la linea che separa le correnti religiose che danno spazio al dubbio e anzi vedono in esso una possibilità di salvezza della religione da quelle che, per difendersi dal dubbio, si barricano nella costruita «purezza» della loro fede. Il teologo Friedrich Wilhelm Graf constata che «le religioni rigide offrono molto ai consumatori: un´identità forte e stabile, un´interpretazione del mondo e del tempo resistente alle crisi, strutture familiari ordinate e fitte reti di solidarietà».
Nella lotta contro la «dittatura del relativismo» papa Benedetto XVI difende la gerarchia cattolica della verità, che segue la logica dello skat (gioco di carte tedesco, simile alla briscola, ndt): la fede vince sull´intelletto. La fede cristiana vince su tutte le altre fedi (in particolare sull´Islam). La fede cattolica-romana è il fante di fiori che batte tutti gli altri giocatori di skat della fede cristiana. E il papa è l´asso pigliatutto nel mazzo di carte della verità dell´ortodossia cattolica.
Quarta tesi. Premesso che la speranza del secolarismo (più modernità avrebbe significato meno religione) si è dimostrata sbagliata, la questione di una convivenza civile tra religioni ostili si pone con rinnovata urgenza. Come è possibile un tipo di tolleranza interreligiosa dove l´amore per il prossimo non significhi inimicizia mortale, cioè un tipo di tolleranza il cui fine non sia la verità, ma la pace?
Mahatma Gandhi trasformò la sua esperienza religiosa in politica che cambia il mondo: si tratta di diventare capaci di vedere il mondo, anche il mondo della propria religione, con gli occhi degli altri. Da ragazzo Gandhi era stato in Inghilterra per studiare diritto. Questo soggiorno in uno dei Paesi più importanti dell´Occidente cristiano non lo allontanò dall´induismo, ma anzi glielo fece comprendere meglio e rese più profonda la sua fede. Infatti, fu in Inghilterra che su consiglio di un amico Gandhi iniziò la lettura, per lui illuminante, della Bhagavad Gita – in traduzione inglese. Solo in seguito egli si dedicò allo studio intensivo del testo indù in sanscrito. Dunque, attraverso gli occhi dei suoi amici occidentali era arrivato a scoprire la ricchezza spirituale della propria tradizione indù.
Ovunque si discute e si polemizza con foga sul «problema» dell´Islam nell´Europa «secolarizzata». Al di sotto delle battaglie combattute dai guerrieri religiosi di tutto il mondo per la difesa delle frontiere sta acquistando realtà e importanza l´astuzia del plusvalore cooperativo: i gruppi possono essere intolleranti per quanto riguarda la teologia dell´altro, ma possono comunque collaborare creativamente per realizzare obiettivi pubblici e condivisi. I custodi e i difensori a oltranza dei dogmi teologici potrebbero imparare da questa «ragione della doppia religione».
Oggi la questione decisiva per la sopravvivenza dell´umanità è fino a che punto la verità può essere sostituita dalla pace. Ma la speranza in un amore del prossimo senza inimicizia mortale non è la speranza più inverosimile, ingenua, folle, assurda che si possa concepire?
(Traduzione di Carlo Sandrelli)

Odifreddi: "La Chiesa fa troppe ingerenze mi spiace, ma non entro in questo partito"

La Repubblica 29.2.08
Il matematico aveva partecipato alla scrittura del manifesto dei valori. "Walter vuol tenere tutto insieme, per me è impossibile"
Odifreddi: "La Chiesa fa troppe ingerenze mi spiace, ma non entro in questo partito"
Tra Berlusconi e Veltroni scelgo Walter. Voterò per il Partito democratico, ma non voglio essere la foglia di fico laica
di Silvia Buzzanca

ROMA - Professor Odifreddi, ma ha deciso di lasciare il Partito democratico?
«La goccia che ha fatto traboccare il vaso è il discorso fatto da Veltroni davanti ai parlamentari cattolici del Pd. Mi sono sentito chiamare in causa quando ha parlato di "visione caricaturale" del rapporto fra laici e cattolici, di "visione anacronistica" o "superficialità". Veltroni invece di fare una scelta chiara di campo cerca di mettere insieme tutto. Ma come faccio io che sono un logico matematico che ha passato la vita insieme al principio di non contraddizione ad accettare tutto questo? Qui siamo di fronte alla dialettica hegeliana di peggiore specie. C´è un´unità di facciata: alla prima occasione i nodi verranno al pettine e litigheranno. Mi sembra tutto un pasticcio e io me ne vado prima. Comunque fra Veltroni e Berlusconi scelgo senza dubbio Veltroni».
Ma lei sembrava molto impegnato?
«Ero entrato nel partito quando ci furono le primarie. Mi chiamò Veltroni e benché avessi dei dubbi molto forti perché il partito nasceva dall´unione di ex comunisti ed ex dc accettai perché volevo verificare se le mie idee potessero trovare accoglienza. Sono stato chiamato nella commissione dei valori, dove questi valori bisognava metterli nero su bianco...».
Franceschini dice che lei quel documento lo ha firmato. E adesso lascia il partito?
«Franceschini e anche Castagnetti sono persone molto ragionevoli. Se nel Pd fossero tutti così ci sarebbe da leccarsi i baffi. Hanno scritto nel manifesto che il partito è laico, "ma" la religione deve avere una presenza nello spazio pubblico. Ho subito detto a Reichlin che se la formulazione rimaneva quella, io non avrei firmato. E infatti non ho firmato. Adesso vorrei che non mi si tirasse più in ballo come esempio della laicità del Pd. Magari Franceschini l´ha fatto in buona fede, ma non voglio essere la foglia di fico laica del Pd».
Allora non ha sottoscritto...
«No. Perché quei valori non sono miei. E comunque prima di lasciare ho aspettato che parlasse il "principe", il "re". Alla fine Veltroni ha usato quei termini, ha detto cose che mi fanno pensare che uno di noi due ha delle allucinazioni. Quando dice che la Chiesa non fa ingerenze, ma solo sollecitazioni, mi viene da chiedere dove viva Veltroni. Ma se solo qualche settimana fa, da sindaco, è andato in Vaticano e gli hanno tirato le orecchie. Quelle non sono ingerenze? E quando parla dei limiti che la scienza deve porsi mostra l´aspetto più bieco del clericalismo».
Professore, ma perché a difendere i valori della laicità è rimasto un manipolo di scienziati nel disinteresse generale?
«Perché sono latitanti i politici e i filosofi. Difendere la laicità toccherebbe a loro. Ma se ci guardiamo intorno, nel Pd per esempio, c´è gente come Cacciari. Ma quando parla mi sembra più papista del Papa. E poi va a difendere i valori laici a Porta a Porta. Il problema è che dopo la caduta del Muro le persone di sinistra si sentono orfane e afflitti da un senso di colpa che si trasforma in vergogna per il fallimento del comunismo. E alla fine tutti si sentono più papisti del papa. Sono rimasti solo i radicali e i socialisti».

Ferrara ti sfido

l’Unità 29.2.08
Ferrara ti sfido
di Paolo Flores d’Arcais

Giuliano Ferrara va ripetendo in tutte le salse e in tutti i luoghi che sull’aborto «i progressisti non accettano il confronto».
La mendace affermazione campeggia ormai da giorni in apertura del sito del Foglio. Eppure è vero esattamente il contrario.
È Giuliano Ferrara che si sottrae al confronto, proprio con quelle posizioni che giudica di estremismo libertario, posizioni che rivendicano l’autonomia della donna nella decisione sulla propria gravidanza (autos-nomos: darsi da sé la legge, ciò che Giuliano sulla questione aborto considera un abominio) e che dunque, a suo dire, non avrebbero argomenti razionali ma solo pregiudizi e furori ideologici.
Questi argomenti, invece, dettagliati sotto ogni profilo, clinico-scientifico, giuridico, etico, umano-esistenziale, costituiscono il cuore del numero speciale di MicroMega dedicato a «Il Papa oscurantista: contro le donne, contro la scienza» in edicola da oggi. Invitiamo perciò qui pubblicamente Giuliano Ferrara (o se preferisce, visto i toni bellicosi della sua crociata, «lo sfidiamo») ad accettarlo davvero quel confronto razionale, per argomenti, che invece paventa e il cui timore, secondo il ben noto meccanismo psicoanalitico della proiezione, attribuisce all’opinione avversa.
Lo invitiamo (o sfidiamo) a un confronto pubblico in un teatro o in una tv, quando e dove vorrà, secondo regole che assicurino perfetta simmetria ai contendenti nella possibilità di proporre razionalità di argomenti, e non il prevalere prevaricatorio della sonorità delle corde vocali (come accade in troppi talk show).
Siamo certi che Giuliano Ferrara non accetterà. Ma - poiché vogliamo restare tetragoni nel nostro pregiudizio che anche le posizioni più aberranti siano in buonafede - preferiamo dire che siamo quasi certi che non accetterà. Vogliamo sperare di sbagliarci, insomma, e che Giuliano non si vorrà sottrarre a un confronto dove non basterà urlare dogmi (l’embrione è una persona umana fin dal momento del concepimento) che fanno a pugni con ogni nozione scientifica, giuridica, etica, esistenziale: umana, insomma. E che, se fossero veri, porterebbero alla inevitabile e mostruosa conclusione che l’aborto, sulla base delle cifre che lo stesso Ferrara sbraita in continuazione, è perfino più grave dell’Olocausto, e che dunque chiunque partecipi di un aborto, anche al primo giorno di gravidanza, donna o chirurgo o infermiere, moralmente parlando è come le SS o i Kapò che gettavano bambini ebrei nei forni crematori.
Ferrara va infatti sproloquiando che lui non accusa le donne che abortiscono di essere delle assassine e non vuole abrogare la 194 e reintrodurre sanzioni penali. Ma rifiuta poi il confronto (e attribuisce la paura di una pubblica controversia ai sostenitori della libertà della donna) proprio perché sa che in un dialogo, argomento contro argomento, la smaccata contraddizione della sua crociata diventerebbe evidente coram populo. Se l’embrione e il feto sono esseri umani a tutti gli effetti, la loro soppressione è omicidio eccome, e donne e medici sono assassini eccome, e anzi si tratta di omicidio premeditato, e poiché le cifre di Ferrara hanno il milione per unità di misura, si tratta proprio di Olocausto, e dunque la depenalizzazione introdotta dalla 194 è un crimine, perché Olocausto è crimine da tribunale di Norimberga, è crimine contro l’umanità, imprescrittibile, altro che depenalizzabile.
Insomma, Giuliano Ferrara lancia il sasso, anzi il macigno, ma poi nasconde la mano. Descrive l’aborto come un genocidio ma poi giura di non voler criminalizzare le donne. Gioca a fare il De Maistre in versione catodica post-moderna. Se pensa di avere anche argomenti, e non solo incontenibili pulsioni di furore reazionario, aspettiamo che ci dica dove e quando. Chi ha davvero argomenti non ha paura di un confronto pubblico «ad armi pari».

Il fatto nuovo è il Pd. Lo dicono i gesuiti

l’Unità 29.2.08
Civiltà Cattolica. La rivista: la scelta di presentarsi da solo poi è stata seguita dal centrodestra
Il fatto nuovo è il Pd. Lo dicono i gesuiti
di Roberto Monteforte

«Il fatto nuovo delle prossime elezioni è costituito dalla scelta del Partito democratico di presentarsi da solo rompendo l'alleanza dell'Unione, una mossa che ha costretto anche il centrodestra a formare un'unica lista anche se per ora non un partito». È l’importante riconoscimento della prestigiosa rivista dei Gesuiti, la «Civiltà Cattolica» alla scelta del leader del Pd, Walter Veltroni che, anche senza l’auspicata riforma elettorale, ha messo in moto tutto il quadro politico. «La novità delle prossime elezioni - si legge nella nota dell'editorialista politico padre Michele Simone - è costituita dalla decisione del Partito democratico di presentarsi da solo agli elettori sciogliendo la coalizione dell'Unione che lo vedeva alleato con i partiti di sinistra (Rifondazione comunista, sinistra democratica, Comunisti italiani e Verdi), i quali a loro volta si presentano alle elezioni nella lista unitaria detta Sinistra arcobaleno». «La nascita del Partito democratico e la decisione di presentarsi con un proprio programma - si riconosce - ha, in un certo senso, “costretto” il centrodestra a formare anch'esso una lista unitaria, almeno per ora non un partito - come invece hanno fatto i Democratici di sinistra e la Margherita confluendo nel nuovo Partito democratico - il Popolo delle libertà, nella quale sono presenti Forza Italia, An e un numero ancora imprecisato di esponenti di piccoli partiti, lista alleata in coalizione con la Lega nord». Un quadro comunque ancora negativamente segnato dagli effetti perversi dell’attuale sistema elettorale con il suo premio nazionale di maggioranza per la Camera e con un premio regionale al Senato. Quanto questo pesi negativamente lo sottolinea con convinzione padre Simone dando spazio nella sua ricostruzione alla cronaca politica della crisi con la decisione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano di conferire l’incarico al presidente del Senato, Franco Marini, con il mandato di verificare gli spazi per la formazione di un governo che modificasse la legge elettorale, raccogliendo la non disponibilità del centrodestra. Chiede tempo l’articolista per esprimere un giudizio ulteriore. Il nuovo panorama politico sarà chiaro - afferma - «nel momento in cui saranno depositate ufficialmente le liste elettorali». Vi è da capire cosa avverrà al centro dello schieramento politico, area affollata da forze come l’Udc e la Rosa Bianca, che aspirano a intercettare il voto cattolico e dalla «lista contro l’aborto» di Giuliano Ferrara. Per dire la sua vuole conoscere meglio «schieramenti e programmi».

mercoledì 27 febbraio 2008

L´incredibile campagna contro il presidente del CNR

La Repubblica 28.2.08
"Quel fisico non sa nulla"
L´incredibile campagna contro il presidente del CNR
Tante bugie senza pudore
di Emilio Carnevali

Su "MicroMega" la violenta polemica dell´on. Carlucci nei confronti di Maiani, scienziato di fama, "indegno" del nuovo incarico perché ha firmato la lettera sul Papa alla Sapienza
Il Nobel Sheldon L. Glashow ha scritto una lettera a Romano Prodi per ribattere le accuse
Una dichiarazione diffamatoria attribuita a David Lane, è stata da lui subito smentita

«Il merito ha trionfato sulla politica in Italia»: così la prestigiosa rivista americana Science aveva salutato la nomina del professor Luciano Maiani alla guida del Cnr, il più importante istituto di ricerca italiano. Maiani era stato nominato dal ministro dell´Università e della Ricerca Fabio Mussi attraverso una procedura innovativa, che aveva premesso - come ha osservato Nature - di «rompere con la famigerata lottizzazione politica». Ma le due riviste scientifiche si erano espresse prima che l´affaire Sapienza si abbattesse come un ciclone sull´università italiana e rischiasse di far saltare la nomina di uno dei più prestigiosi scienziati del nostro paese, "reo" di aver sottoscritto la lettera dei 67 "cattivi maestri" contro la partecipazione di papa Ratzinger all´inaugurazione dell´anno accademico.
A giudizio di molti politici italiani, infatti, le opinioni dell´eminente fisico Maiani sugli ospiti che la sua università sceglie di chiamare sono dirimenti nel valutare la sua candidatura alla guida di un ente di ricerca scientifica. «Maiani è un cattivo maestro. Lo ammetta ed eviti di assumere un incarico del quale non è degno», ha dichiarato lo scorso 29 gennaio l´esponente di An Maurizio Gasparri.
Maiani è uno dei maggiori fisici a livello internazionale. Il suo campo di ricerca si concentra in particolare sulla fisica dei quark e la descrizione delle interazioni fisiche fondamentali (insieme a Sheldon Lee Glashow, premio Nobel per la Fisica nel 1978, e John Iliopoulos ha formulato l´ipotesi dell´esistenza di un quarto tipo di quark - il quark charm - accanto ai tre originari, poi confermata nel 1974 negli esperimenti degli acceleratori lineari di Stanford e di Brookhaven). Il nome di Maiani compare al secondo posto per tutti gli anni Novanta nella classifica degli studi di fisica delle particelle più citati al mondo e attualmente si trova al sesto posto. Quattro le lauree honoris causa ricevute, che si sommano a molti altri riconoscimenti, fra i quali il premio Sakurai, conferito dall´American Physical Society.
Chi ha messo in discussione i titoli del professor Maiani per guidare il Cnr è stata l´onorevole Gabriella Carlucci. Eletta nel 2001 e confermata nel 2006 nelle file di Forza Italia, i "titoli" dell´onorevole Carlucci per prendere parte ai lavori della commissione Cultura della Camera restano tuttora ignoti. La biografia pubblicata sul suo blog - dopo un fitto elenco di conduzioni televisive, fra cui quelle di Azzurro, Festivalbar, Cantagiro, Cocco, Giallo, Luna di Miele, Piccolo Grande Amore e Buona Domenica - descrive così il suo ingresso in parlamento: «Al temine di una campagna elettorale molto dura Gabriella è divenuta Onorevole Carlucci, riscuotendo ben 33.887 consensi. Da quel momento il territorio del nord barese è definitivamente entrato nel cuore dell´Onorevole». Così ora contesta la nomina del professor Maiani al vertice del Cnr: «Uno dei criteri che dovrebbe stabilire l´idoneità della persone candidate a ricoprire incarichi scientifici è quello del numero delle pubblicazioni effettuate negli ultimi anni». A tale proposto, ha rilevato la Carlucci intervenendo in commissione alla Camera, «dal sito Google scholar risulta che il professor Maiani non ha avuto pubblicazioni dal 1994, il che, per un candidato chiamato a ricoprire la carica di presidente del Cnr, non appare certo una nota di merito». Chi scrive si permette di consigliare all´Onorevole - una volta digitato il nome «Maiani» nella finestra centrale del sito scholar. google. it - di cliccare sul riquadro «Recent Articles» in alto a sinistra. Senza questo passaggio, non è possibile consultare l´elenco di svariate pagine degli articoli degli ultimi anni del professor Maiani.
Per il resto anche alla Camera l´opposizione ha sostanzialmente martellato sull´ «episodio di grave intolleranza nei confronti della religione cattolica e del Papa» di cui si è macchiato il professore. La nomina è stata ratificata il 1º febbraio dal Consiglio dei ministri. Ma c´è chi non si è arreso, come ad esempio l´onorevole Gasparri. Uomo politico di solida cultura liberale distintosi nei "giorni caldi" della Sapienza per aver chiesto le dimissioni del ministro dell´Interno e il "licenziamento" dei 67 docenti firmatari della lettera al rettore, Gasparri ha annunciato: «Contesteremo nelle sedi amministrative e giudiziarie la nomina del professor Luciano Maiani alla guida del Cnr». Ma soprattutto non si è arresa l´onorevole Carlucci, che lo scorso 7 febbraio, attraverso il sito Puglialive, ha inviato una lettera aperta al presidente del Consiglio Prodi, al ministro Mussi e al sottosegretario Modica nella quale si legge: «Luciano Maiani è stato definito fisico di alto profilo dotato di grandi capacità manageriali. Niente di più falso. Maiani nel 1969 ha avuto la fortuna di lavorare per un semestre ad Harvard con Sheldon Glashow (premio Nobel per la Fisica nel 1979) con il quale pubblicò l´unico suo lavoro degno di interesse. Lavoro che firmò, ma che chiaramente non capì, visto che nel 1974 lo rinnegò pubblicando un altro lavoro (nota bene: insieme a Cabibbo, Parisi e Petronzio) dove confusero particelle elementari di proprietà fisiche diverse». «Successivamente», ha aggiunto la parlamentare di Forza Italia, «Glashow addirittura si oppose a che Maiani ottenesse un posto di ruolo al Cern poiché manifestamente non aveva capito una teoria di cui era autore. Cosa, questa, estremamente ridicola». Secondo la Carlucci questa vicenda «creò un notevole danno di immagine alla Fisica italiana».
Ipotizzando che la Carlucci non capisca nulla di fisica delle particelle (ma naturalmente è solo un´ipotesi di lavoro, del tutto priva di fondamento reale) ci si potrebbe domandare da dove l´onorevole abbia preso le informazioni cui ha fatto riferimento. Il 5 febbraio il quotidiano Libero ha pubblicato un articolo intitolato «Gaffe sui quark e sul Papa. Ecco il nuovo capo del Cnr» e firmato da Tommaso Montesano, nel quale sono esposte sostanzialmente le stesse accuse poi rilanciate dalla Carlucci. A sua volta Montesano si è basato sui contenuti di un sito internet (maianierror. awardspace. com) attribuito a un professore americano, già stretto collaboratore del Nobel Carlo Rubbia, David Lane, il quale avrebbe fra l´altro dichiarato: «Solo l´Italia poteva pensare di nominare un simile, pessimo scienziato capo del maggiore ente di ricerca nazionale». Peccato che questo sito sia un autentico falso, una truffa costruita ad hoc per infangare il nome di Maiani, come lo stesso Lane ha confermato dopo aver provveduto a farlo oscurare. Le "argomentazioni" del falso sito, per altro, sono state riprese in modo praticamente identico nel sito di Valori e Libertà, associazione presieduta dalla parlamentare di Forza Italia Isabella Bertolini (e nel cui consiglio direttivo compare anche il nome di Gabriella Carlucci), a firma del professor Enzo Boschi, allievo tra i prediletti del professor Antonio Zichichi.
Pochi giorni dopo, il premio Nobel Sheldon L. Glashow, tirato in ballo dalla Carlucci per la collaborazione con Maiani, ha inviato al presidente del Consiglio Prodi una lettera nella quale definisce «completamente false» e «diffamatorie» le affermazioni della parlamentare di Forza Italia. Anche il professor John Iliopoulos (il terzo firmatario, con Maiani e Glashow, dell´articolo in cui si formula l´ipotesi del quark charm) ha ridicolizzato le tesi della Carlucci attraverso una lettera inviata al professor Caludio Corianò dell´Università di Lecce e diffusa da quest´ultimo «per sgombrare il terreno da equivoci e falsità storiche».
***
Postscriptum. Il 20 febbraio (ndr. mentre era già in stampa il volume di MicroMega da cui è tratto questo articolo), anziché arrossire, «la sventurata rispose». La on. Carlucci ha scritto a Glashow insistendo che le sue tesi provengono da fonti mai smentite (e la smentita di Cline? E quella di Iliopoulos, ribadita anche in una seconda lettera? E quella dello stesso Glashow sulle affermazioni attribuitegli?) e porgendogli "una semplice domanda": «Se Maiani e i suoi amici sono, come Lei dice, luminari stellari stimatissimi in tutto il mondo, perché non hanno mai vinto il premio Nobel? Eppure la Fisica della Particella italiana [sic] (e, in particolare, quella romana) è in percentuale e in valore assoluto fra le meglio finanziate al mondo. Sperò mi risponderà senza insultarmi. E non dica bugie: potrei sorprenderLa». La risposta di Glashow non si è fatta attenere. «Sono indignato giacché lei ha macchiato la mia reputazione con accuse false ed invidiose. E´ vero che parecchi ricercatori Italiani (incluso Maiani) sono meritevoli del Premio Nobel, ma ci sono molti più candidati che premi». «Ricordo - ha aggiunto Glashow - che famosi fisici luminari mondiali come Edward Witten, Stephen Hawking, Yoichiro Nambu non hanno vinto il Premio Nobel. Che questi fisici italiani abbiano vinto o meno il Premio Nobel o che la loro ricerca sia ben finanziata o meno, indipendentemente da questo, Essi hanno dato contributi eccezionali alla Fisica, almeno alla pari di quelli di qualunque altro paese europeo. L´Italia dovrebbe essere orgogliosa dell´eroismo di tanti suoi scienziati, invece di calunniarli».
Glashow un Nobel già lo ha vinto. Tuttavia crediamo ne meriti anche un altro: quello per la Pazienza. Magari ex equo con il professor Maiani, così accontentiamo anche la Carlucci.

martedì 26 febbraio 2008

Cari cattolici, basta crociate

l’Unità 27.2.08
Cari cattolici, basta crociate
di Carlo Flamigni

C’è un mio collega che da qualche tempo mi guarda con occhi che mi sembrano pieni di astio, mia moglie pensi ciò che vuole, ma è così. Qualsiasi cosa io dica che riguarda le interruzioni di gravidanza, lui dopo un po’ arriva e so che fa domande, sono certo che mi vuol cogliere in fallo. Io lo conosco, è un baggiano incompetente, un ipocrita, pensa che se riesce a trovarmi in fallo chissà che vantaggi ne trarrà, con l’aria che tira, con questo Papa che dice certe cose, nessuno più che ci difenda... È un ipocrita, pieno di paure, pessimo chirurgo, prima o poi lo prendo io in fallo, vediamo come se la cava con una bella denuncia per incapacità... E poi ci sono gli inquilini del terzo, prima tutti gentili, venite a cena da noi...
Adesso, dopo la polemica sui giornali, anche loro mi evitano, chi li sente più... E con mio figlio... Dieci anni, un innocente, gli faccio fare anche l’ora di religione, non voglio che si senta diverso... E ieri è venuto a casa che piangeva, tuo padre è un ateo, gli ha detto, proprio lui, il figlio di quelli del terzo piano, lui diceva che era il suo migliore amico, voleva andare in campeggio con lui... Adesso gli insegno io come si reagisce a chi ti vuol offendere proprio negli affetti, nelle cose più care, anche se in realtà non è colpa sua, è chiaro, certe cose le sente... Un calcio proprio lì, bello e forte, vediamo cosa dice la maestra, voglio proprio vedere...
Spero che sia chiaro che sono tutte favole, non ho figli di dieci anni da più di trent’anni, non ho colleghi che mi guardano di sbieco, anche perché non ho più colleghi. Ma questa è l’aria che comincia a tirare, quella che sento andando in giro a parlare di aborto in tante città. La gente, molta gente è arrabbiata, donne e uomini che non capiscono, si interrogano e si chiedono dove siano finiti i diritti, tanti di loro per questi diritti hanno lottato, e adesso... La gente, molta gente è arrabbiata e, bisogna avere il coraggio di dirlo, ce l’ha con i cattolici, proprio non riesce a fare distinzioni. Non è una questione che riguarda solo le donne, anche se è sulla loro pelle che si gioca questa brutta partita, perché la posta è una faccenda delicata, una di quelle per le quali si è andati sulle barricate, roba di democrazia, di libertà, di conflitti dolorosi tra diritti, di princìpi, ultimi o non ultimi, dite voi, anche di valori, se proprio si vuole spaccare il Paese. E allora mi rivolgo ai cattolici, a quelli che hanno ancora voglia di ragionare con la loro testa, e a loro chiedo perché. Perché questa crociata. Perché questi attacchi così violenti e malevoli che, è solo un esempio che faccio, intendono cambiare una legge che, per almeno metà degli italiani (ragiono per difetto, come si può capire se ricordate i risultati del referendum), ha risolto un drammatico problema sociale? Perché creare una tensione così alta come non l’avevo mai, mai nella mia vita, avvertita, tra laici e cattolici, credenti e non credenti? C’è qualcuno così folle da pensare che questo paese ha bisogno di una guerra di religione? C’è qualcuno che può garantire che un conflitto su questi temi si fermerà a livelli ragionevoli? C’è qualcuno che ritiene che mettere i medici uno contro l’altro, a lavorare da nemici fianco a fianco nello stesso ospedale, sia privo di conseguenze, per loro, per la gente che a loro si affida, per tutti? C’è qualcuno incapace di intuire dove si finisce quando ci si batte sui valori, una guerra senza mediazioni possibili, i miei buoni e i tuoi cattivi, non c’è alternativa possibile?
Io non so come è andata all’Ordine dei Medici, se tutto si è svolto secondo le regole o no. Ammettiamo che le regole non siano state rispettate, è possibile. Ad esempio, uno potrebbe dire, non c’è traccia, nel documento, della voce dei medici cattolici, quelli che la 194 la vorrebbero abolire, quelli che pensano che le indagini genetiche pre-impiantatorie servono solo a consentire scelte eugenetiche. Giusto. Forse che, allora, nei documenti del Comitato Nazionale per la Bioetica c’è traccia delle opinioni dei laici? I documenti del CNB vengono messi ai voti, pensate, si vota per decidere che la vostra morale è migliore della nostra, che la vita personale comincia con l’attivazione dell’oocita e chi ritiene che non sia così sbaglia, la sua opinione deve essere ignorata, i suoi valori sono inferiori, non parliamo dei suoi principi morali: tutto ciò sulla base di una falsa democrazia, visto che i membri del CNB non sono stati eletti ma solo scelti da dio solo sa chi. Ma ho altre domande in testa: ad esempio, qualcuno crede veramente che la maggioranza dei medici - intendo di quei medici che interrompono le gravidanze in ossequio alla legge 194 e al principio secondo il quale si interrompe una gravidanza quando è a rischio la salute della donna - sia composta di mascalzoni e di assassini?
Sinceramente dai cattolici mi aspettavo di più, più correttezza, più trasparenza, persino più cortesia. Esistono, giuro che esistono, le avete usate anche voi, un tempo. Perché siete tanto cambiati? Fingete di non sapere che la pillola del giorno dopo non inibisce l’impianto dell’embrione, ci sono ricerche recenti e bellissime del «Karolinska Institutet» di Stoccolma a provarlo. Fingete di ignorare che la legge 194 rispetta i feti vitali - ci mancherebbe altro - per i quali è prevista l’interruzione di gravidanza solo in condizioni di necessità, una concessione che esisteva anche con le leggi fasciste. Dove è finita la compassione che è necessario, obbligatorio avere per le donne che scelgono di abortire, povere criste dilaniate dalla paura di vedersi sconvolgere la vita da un imbecille incapace di controllare il proprio orgasmo e per le quali siete stati capaci solo di trovare un nuovo insulto, la sindrome del boia, bella roba...
Pensate veramente che la legge possa essere migliorata? Può darsi. Ebbene, ci sono certo tra voi persone sagge disposte a discutere senza urlare e senza offendere, che parlino. Cerchiamo un linguaggio semplice e onesto, che ci accomuni, evitiamo gli isterismi di chi che si fa bello inventandosi la letteratura medica, c’è spazio, c’è spazio per una mediazione, c’è ancora spazio. Proviamo a chiedere all’Avvenire e all’Unità di pubblicare, ogni domenica, la stessa pagina, costruita in comune, sui temi eticamente sensibili e approviamo un codice di comportamento che esiga una moratoria (?) sugli insulti e le accuse becere. Ma non è vero che la pillola abortiva è «uccisiva» (vedete, uso persino il vostro linguaggio!). E non è vero che l’interruzione di gravidanza viene utilizzata a scopo anticoncezionale, a meno che voi non riteniate che due aborti nella vita di una donna abbiano questo significato. E non fate parlare gli incompetenti. Un alto prelato che dichiara pubblicamente che non si può affermare che la legge funziona, perché se è vero che sono diminuiti gli aborti è anche vero che sono diminuite le nascite, passa inosservato solo in questo patologico clima di sottomissione, solo una persona che non sa come nascono i bambini ignora che i calcoli si fanno sul numero di rapporti sessuali che per quanto so - ma sono stato molto indaffarato in questi ultimi tempi e può darsi che la vita sessuale degli italiani si sia improvvisamente scolorita senza che io me ne sia accorto - gli alti prelati stentano a monitorare. È vero invece che la legge viene applicata male perché un numero inverosimile di medici (troppi, è evidentemente, almeno in molti casi, una scelta sleale) ha optato per l’obiezione di coscienza e questo vuol dire attese più lunghe, interventi a maggior rischio, due Italie ancora una volta diverse, il nord e il sud. La legge 194 protegge la salute delle donne, spero che su questo punto non esistano dissensi: è possibile che un medico si faccia assumere in un ospedale dichiarando che sì, la salute delle donne lui la vuole proteggere, ma solo fino a lì, non un passo oltre? Possibile che debba scegliere per forza una specialità per la quale non sembra proprio tagliato? Posso capire la necessità di consentire l’obiezione a quei medici che la legge ha sorpreso dentro agli ospedali, non potevano sapere che sarebbero state chieste loro attività che consideravano moralmente illecite, ma oggi? E comunque, perché mai non c’è traccia di un solo obiettore che abbia deciso di impegnarsi, per pareggiare i conti, sulla promozione della cultura che riguarda il controllo delle nascite, o sull’educazione sessuale, insomma su uno dei tanti argomenti che per noi fanno parte della prevenzione delle gravidanze indesiderate e dell’aborto?
Lo so, abbiamo, noi e voi, un concetto molto diverso di cosa significa esattamente prevenire l’aborto. Per me, e per molti come me, significa controllo della fertilità, maggiore cultura, giustizia sociale, migliori possibilità di lavoro, più rispetto per la dignità delle donne, uomini più consapevoli e più responsabili , cose così, sapete, siamo dei poveri laici. Per voi vuol dire dissuasione, pietà, aiuto alle donne bisognose nel momento del bisogno maggiore (e dopo?)... Pietà a parte (scusateci, non vorremmo proprio sentirne parlare) non potremmo unificare queste diverse interpretazioni? È stato fatto, più di una volta.

C’È LA LOGICA DIETRO LO SPIRITO"

TST 4 lug. ’07

ODIFREDDI: C’È LA LOGICA DIETRO LO SPIRITO"

PAGANI, CRISTIANI E RICERCATORI DEL XXI SECOLO: ECCO LE SORPRENDENTI METAMORFOSI
DI UN PERCORSO MILLENARIO
Da Marco Aurelio all'hi-tech, conoscere significa saper meditare
PIERGIORGIO ODIFREDDI UNIVERSITA' DI TORINO
Nei suoi famosi «Esercizi spirituali» Ignazio di Loyola ha codificato una pratica religiosa di concentrazione e autoanalisi basata su meditazioni ed esami di coscienza, che si fa comunemente risalire a un passaggio della «Seconda lettera ai Corinzi» di Paolo di Tarso («esaminate voi stessi, fate la prova su voi stessi»), anche se in realtà essa appare nella tradizione cristiana solo nel III secolo, a partire da Origene.
Questa pratica religiosa del Cristianesimo non è però altro che una versione riveduta e (s) corretta di una pratica laica che risale almeno ai presocratici, nota come «askesìs», «esercizio». Una pratica che, nonostante il nome («ascesi») che oggi suggerisce astinenze sessuali e mortificazioni corporee, era allora semplicemente un'attività interiore di pensiero, con lo scopo di trasformare la visione del mondo di chi la praticava.
L'appropriazione degli esercizi spirituali filosofici da parte del Cristianesimo fu facilitata dal fatto che, agli inizi, esso fu presentato dagli apologisti come una filosofia. O meglio, come «la» filosofia, l'unica vera: se i greci avevano infatti soltanto intravisto brandelli del «logos», il «Verbo», i cristiani ora pretendevano di possederlo interamente, addirittura incarnato. E questa concezione del Cristianesimo come (vera) filosofia rimarrà viva per secoli nel monachesimo, da Giovanni Crisostomo a Bernardo di Chiaravalle.
Ma il gioco riuscì unicamente perchè, in precedenza, la filosofia era già stata appunto considerata non soltanto come un sistema di pensiero, ma come un modo di essere e uno stile di vita, e il filosofo non soltanto come un pensatore, ma come una specie di monaco «ante litteram». E una delle pratiche comuni, del filosofo e del monaco, era la memorizzazione delle regole di vita e di condotta: laiche in un caso ed evangeliche nell'altro.
Gli esempi più tardi di queste regole laiche si trovano in «A se stesso» o «I ricordi»: una raccolta di pensieri di Marco Aurelio, l'imperatore che troppo spesso viene ricordato soltanto perchè immortalato nella statua equestre che campeggia sulla piazza del Campidoglio, o nei film «La caduta dell'Impero Romano» e «Il Gladiatore». Ma in precedenza regole simili erano già state raccomandate dai pitagorici, dagli epicurei e dagli stoici, Seneca in particolare.
Una di queste massime di saggezza suggeriva, ad esempio, di volere le cose come sono, invece di desiderare che esse siano come le vorremmo. La si trova già nel «Manuale» di Epitteto, ma i suoi echi risuonano fino a noi: dal «Così fan tutte» di Mozart («non può quel che vuole, vorrà quel può») a «Love the one you're with» di Crosby, Stills e Nash («se non sei con colei che ami, ama colei con cui sei»). E' con queste massime che ci si allenava all'«apatheia», la totale impassibilità nei confronti delle cose del mondo che, se derivata dalla loro vera conoscenza, poteva essere considerata addirittura l'essenza del Regno del Cieli.
Così infatti la considerò Evagirio, secondo le cui «Pratiche» il progresso spirituale procedeva dall'etica alla fisica alla teologia: più precisamente, dalla purificazione dell'anima alla conoscenza del vero ordine del creato (appunto, il Regno dei Cieli) alla contemplazione del Creatore (il Regno di Dio). Ma questa terminologia (anima-creato-Creatore), forse adatta agli uomini di buona volontà del Medioevo teologi co, è certamente anacronistica per gli uomini di buona razionalità dell'era tecnologica, ai quali non si può certo pretendere di parlare seriamente nel linguaggio delle favole di parrocchia.
Molto più adatta è la visione stoica proposta da Marco Aurelio, nella quale la logica sostituisce la teologia, e la Ragione il Creatore. Si ottiene così un sistema perfettamente adeguato ai tempi moderni, in cui la maturazione del percorso spirituale è affidata, oltre che all'etica, alla «fisica» e alla «logica»: o, come oggi diremmo, alla conoscenza scientifica e al pensiero formale, chi costituiscono appunto i cardini del sapere tecnologico. E la meditazione non consiste più nel concentrare la mente su qualche aforisma più o meno edificante di qualche santone più o meno ispirato, ma nel cercare di «vedere e definire un oggetto nella sua essenza in tutte le sue parti, secondo il metodo della divisione»: cioè nell'effettuarne un'analisi fisico-chimica da un lato, e logico linguistica dall'altro, per decostruire le apparenze e stabili re le interconnessioni.
Smettendo di chiedersi che cosa gli oggetti significhino per l'uomo in generale e per noi in particolare, e iniziando invece a scoprire quali siano le loro costituenti e le loro proprietà, individuali e collettive, si arriva a vederli in maniera distaccata e a smantellare i valori antropocentrici e convenzionali dai quali deriva il nostro attaccamento alle cose. Ci si incammina, cioè, sulla via di un'equanime saggezza laica che costituisce un'attraente alternativa razionale e colta alla coscienza religiosa e clericale: c'è forse da stupirsi che il Cristianesimo delle origini abbia dapprima cercato di annettersi lo stoicismo, inventandosi un apocrifo carteggio fra Seneca e Paolo, e poi l'abbia avversato fino a sopraffarlo nella memoria storica?
La testimonianza negativa di questa pulizia et(n)ica si trova nel fatto che, mentre oggi il mondo è pieno di accademie e di licei, cioè di cloni delle scuole che Platone e Aristotele avevano fondato ad Atene, non c'è neppure una stoa: eppure le tre scuole erano talmente importanti nell'antichità che, quando i greci decisero di inviare una missione diplomatica a Roma nel 156 prima dell'Era Volgare, dopo la conquista romana della Macedonia, non trovarono di meglio che scegliere Carneade (il manzoniano «chi era costui?») dall'Accademia, Critolao dal Liceo e Diogene dalla Stoa.
Anche i testi degli stoici precristiani sono andati in massima parte perduti, e con essi la memoria di un pensiero che oggi affiora parzialmente solo da fonti indirette. Tutto ciò che rimane è l'aggettivo «stoico», usato quasi esclusivamente nel senso di distacco impassibile che derivava dagli esercizi spirituali alla Marco Aurelio, condensati in massime quali: «Accettare volontariamente l'inevitabile, e non desiderare l'impossibile».
Secoli (anzi, millenni) di assuefazione a un pensiero irrazionale e a una visione magica del mondo, che oggi il clero e i clericali chiamano eufemisticamente «le radici cristiane dell'Europa», hanno finito col creare una contrapposizione con il pensiero razionale e la visione scientifica dell'universo. Ma è giunta l'ora di rivendicare le vere radici dell'Occidente, che ovviamente non stanno in Medio Oriente, e di riappropriarsi dei valori spirituali che alla «logica» e alla «fisica» attribuivano non solo gli stoici, ma anche i platonici e gli aristotelici: rispettivamente, come pratiche di distacco dalla quotidianità, come strumenti di percezione dell'armonia del mondo e come attività contemplative fine a se stesse.
Che la scienza e il pensiero formale possano costituire le basi per un'etica razionale e una spiritualità laica non lo si è mai dimenticato, naturalmente: lo testimoniano opere che vanno dal «Timeo» di Platone al «De rerum natura» di Lucrezio, dall'«Ethica» di Spinoza al «Tractatus» di Wittgenstein, che coniugano perfettamente l'ateismo confessionale nei confronti delle divinità «rivelate» con la professione di fede nel «Deus, sive Natura», «Dio, cioè la Natura», di Spinoza e Einstein.
L'urgenza dei tempi moderni non è dunque tanto di costruire un'etica razionale e una spiritualità laica, che ci sono sempre state, ma di sfatare le pretese delle religioni mediorientali e delle filosofie continentali di possedere il monopolio dei valori e della saggezza, sulla base del motto di Heidegger: «La scienza finisce dove il pensiero comincia». La verità è, invece, che le pratiche di quelle religioni e le teorie di quelle filosofie stanno agli esercizi spirituali basati sulla scienza e sulla logica come l'alchimia sta alla chimica, o l'astrologia all'astronomia, o la fantasia alla realtà. E che la vera religiosità non si esprime in giaculatorie e salmi, ma in preghiere come quella di Marco Aurelio: «Tutto ciò che è conveniente per te, o Universo, lo è pure per me

NO ALL’OFFENSIVA DEL CLERICALISMO

Il Giornale 23 feb. ’08

NO ALL’OFFENSIVA DEL CLERICALISMO

Massimo Teodori, docente di Storia e istituzioni degli Stati Uniti: l'«alleanza» fra Chiesa e atei devoti è lecita. A patto che non si imponga alla comunità nazionale
A che cosa si deve l'offensiva della cultura neotradizionalista, e della collegata politica clericale, contro la laicità dello Stato e la società secolarizzata in corso oggi in Italia in una misura sconosciuta al resto dell'Occidente? A me pare che all'origine della nuova conflittualità vi siano alcuni fattori nuovi anche per un Paese come il nostro; in cui lo Stato nazionale si è formato in contrasto con il potere temporale della Chiesa.
Il primo è l'accresciuta importanza dei temi cosiddetti «etici» con i mutamenti provocati dall'innesto della tecnoscienza sul bios. Il secondo è dato dalla svolta accentuatasi con Benedetto XVI che ha portato il pensiero ufficiale della Chiesa a contrapporsi frontalmente alla modernità ed ai suoi presupposti filosofici, l'illuminismo e il liberalismo. Il terzo è stato rappresentato dall'interventismo in politica delle gerarchie ecclesiastiche sotto la guida del cardinal Ruini dopo la fine della De. E l'ultimo fattore è nato dalla progressiva perdita di autonomia della politica che tenta, a destra come a sinistra, di fare un uso sempre più strumentale della religione.
Le alte gerarchie della Chiesa, fiancheggiate intensamente da gruppi come quello dei cosiddetti «atei devoti» e «teo-con», hanno chiesto più spazio pubblico per la religione, in particolare su questioni come nascita, morte, vita e sesso, sulle quali hanno rivendicato l'indiscutibile autorità dottrinale della tradizione cattolica. Si tratta di una rivendicazione del tutto legittima e pienamente doverosa dal punto di vista del magistero religioso rivolto al popolo dei credenti, ma che diviene inaccettabile quando intende imporsi con le armi della politica all'intera comunità nazionale. In altre parole, in uno Stato laico è inconcepibile l'automatica trasposizione di una particolare impostazione religiosa, o morale> in una norma di diritto valida per tutti, credenti, non credenti o credenti in altro dalla religione maggioritaria. Ed è proprio da ciò che nascono i conflitti che stanno dividendo la nazione come forse mai era accaduto prima nella Repubblica.
Il pensiero ufficiale della Chiesa insegna che vi sono dei diritti naturali che discendono da Dio che non possono essere messi in discussione dal legislatore. Così i suoi interpreti più tradizionalisti, ecclesiastici e non, ritengono che solo la Chiesa detenga il monopolio dell'etica pubblica, che, come tale, va tradotto nella legislazione dello Stato per fare fronte alla decadenza della società secolarizzata. Perciò le coppie di fatto non devono essere regolamentate; la ricerca scientifica si deve arrestare ad una certa soglia; sottostando a precetti dottrinali e non alle regole della scienza responsabile; l'embrione va trattato come se fosse un essere umano con una personalità giuridica; le donne incinte non devono fare gli esami preventivi di routine perché darebbero luogo a pratiche eugenetiche; e gli omosessuali vanno trattati come malati...
Dunque il contrasto fra una visione laica e una neotradizionalista (o clericale) risiede oggi in Italia in due nodi che si aggrovigliano sempre più. Il primo riguarda l'uso del potere. Infatti, mentre da un lato i sostenitori del mondo clericale rivendicano l'opera di apostolato sul propri valori neotradizionalisti in concorrenza con altre visioni del mondo religioso e non religioso, dall'altro gli stessi non abbandonano le condizioni di privilegio istituzionale iscritte nelle regole concordatarie che statuiscono i rapporti fra lo Stato italiano e il Vaticano. È questo ambiguo gioco su due tavoli che non è idealmente, politicamente e religiosamente accettabile: la libera presenza della Chiesa nella società con la sua forte azione valoriale - che va difesa ad ogni costo - e il rapporto di potere privilegiato con le istituzioni statali.
L'altra questione fonte di sempre più accentuato conflitto è la manifesta volontà dei neotradizionalisti di imporre per legge un punto di vista morale (religioso) di una parte all'insieme della comunità nazionale. Si tratta di un terreno direttamente politico nel quale il conflitto non è soltanto fra diverse visioni ideali ed etiche - laiche, religiose, cattoliche, bensì sui criteri e i limiti che la legislazione e l'azione dello Stato devono avere nei confronti delle scelte morali individuali e dei comportamenti personali. Una visione laica non nega certo l'ispirazione etica delle leggi in base ad un indifferentismo agnostico buono per ogni uso. Ma ritiene che anche per i moral issues
la legge erga omnes non può che essere ispirata a ragionevoli compromessi che escludano i proibizionismi intrinseci a tutte le verità morali assolute.
La conseguenza è che, legiferando sul terreno etico in tema di aborto, omosessuali, contraccezione, fecondazione assistita, eutanasia, cellule staminali e ricerca scientifica non si può assumere il punto di vista del tradizionalismo cattolico come regola valida per tutti. Infatti tali punti di vista che sono precettivi per le coscienze dei credenti cattolici, divengono proibizionisti per coloro i quali credenti non sono o credono in altri valori, ideali e fedi. In definitiva, l'attuale polemica non è tra indifferentisti / relativisti e credenti portatori di una morale personale e un'etica pubblica capace di colmare il cosiddetto vuoto della modernità. Ma è tra laici, che affidano le scelte morali alla coscienza individuale nei limiti di ragionevoli compromessi con gli interessi sociali e dei terzi, e proibizionisti che vogliono autoritariamente imporre le loro credenze come verità assolute a quanti non le condividono.
Sulla laicità Gaetano Salvemini scriveva: «La ideologia del laicismo nega alle autorità ecclesiastiche il diritto di mettere legalmente al servizio delle loro ideologie le autorità secolari. Le autorità ecclesiastiche hanno il diritto di consigliare i fedeli, e magari di condannarli al fuoco eterno, ma nell'altra vita. Se avessero la facoltà di imporre giuridica,mente a fedeli e non fedeli i loro consigli e le loro condanne in questa vita, i loro consigli diventerebbero leggi. I peccati diventerebbero delitti. Il laicismo - inteso in questo senso, e non so in quale altro senso si possa intendere - è 1a secolarizzazione delle istituzioni pubbliche».

Il «pluralismo» del Vaticano

Il «pluralismo» del Vaticano

Il Manifesto del 26 febbraio 2008, pag. 5

di Mimmo de Cillis

La parola d'ordine è: esserci. Nei sa­cri palazzi vaticani da un lato, e nella chiesa italiana dall'altro, la strategia dettata per la campagna elettorale è perfettamente coincidente: essere presentì, contare e influenzare tutte le formazioni politiche. Fra le due sponde del potere ecclesiastico ro­mano esiste ormai un ponte immagi­nario, o un iperfrequentato canale sotterraneo che collega le stanze vati­cane a quelle di via Aurelia (dove al­berga la Cei). E se in passato erano possibili alcuni distinguo, oggi la pre­senza Oltretevere del segretario di stato Tarcisio Bertone, che ha avoca­to a sé i rapporti con la politica italia­na, ha contribuito non poco a unifi­care le posizioni e creare un'unica, chiara linea politica per la chiesa e i fedeli cattolici.



La prima preoccupazione, condivi­sa dalla vecchia volpe Camillo Ruini, è l'incidenza e la significatività della presenza cattolica nei partiti vecchi e nuovi. Sparita la De, il quadro poli­tico ha fatto sì che i credenti potesse­ro disseminarsi un po' dappertutto. Con un pericolo - sparire - e un'op­portunità: crescere e influenzare dal­l'interno, scalare posizioni, mostrare la «trasversalità» delle battaglie catto-liche, quelle sui temi etici e sui valori cristiani. Insomma, uscire dal ghetto di un unico partito e far emergere un «pluralismo virtuoso» capace di incidere nelle scelte politiche di go­verno e nell'elaborazione legislativa, con il sostegno attivo della chiesa isti­tuzionale e, perché no, degli «atei de­voti» e dei teocon, nuovi figli adottivi beneaccolti nell'ovile.


Nella campagna elettorale 2008 questa strategia è ormai ben delinea­ta, secondo l'ispirazione del «Proget­to culturale della chiesa italiana», il cavallo di battaglia del cardinale Rui­ni, che mirava a un cattolicesimo «vi­vo e vitale» e chiedeva «una maggio­re capacità di proposta e una più concreta incidenza della fede cristia­na nell'Italia di oggi». Ecco allora la difesa della scelta di Casini di conser­vare il simbolo scudocrociato e tute­lare un partito di tradizione cattoli­ca. Ma certo senza scomunicare Berlusconi e il grande contenitore del Pdl. Ecco la presenza dei teodem Binetti e Bobba nel Pd, a capo di una compagine che, sia pur minoritaria, conserva il cattolicesimo sociale nel partito di Veltroni (e la scomunica di Famiglia Cristiana all'apparentamento con i radicali, ritenuti un osta­colo in questo processo). Ecco le simpatie per Ferrara, ma anche il dissen­so verso una lista «tematica» (quella per l'aborto) che, al contrario del di­segno dei cattolici «lievito dei parti­ti», rischia di ghettizzare e circoscri­vere una questione che la chiesa vuo­le resti interesse di tutti. Ecco ritorna­re in auge il richiamo di Benedetto XVI che, a ottobre 2006, parlando a Verona al IV Convegno nazionale della chiesa italiana, esortò i cattolici a non ripiegarsi su se stessi, a mante­nere vivo il loro dinamismo, ad «aprirsi con fiducia a nuovi rappor­ti». L'obiettivo dichiarato è, dunque, tornare a innervare la politica italia­na con la grande tradizione dell'an­tropologia cristiana (piuttosto che rinnovare una pretesa neoguelfa). Pronti a stringere patti, nel cinismo della realpolitik, con qualunque for­za politica si appresti a governare.

Il progetto culturale del cardinal Ruini

Il progetto culturale del cardinal Ruini
Il Riformista del 26 febbraio 2008, pag. 1

di Deborah Bergamini

Dopo un fine settimana di fuoco per i cattolici impegnati a rimettere ordine nella proliferazione delle sigle elettorali dei neocentristi e nei dissidi nati all'interno del Pd dopo la cooptazione della Bonino e di Veronesi, oggi Ruini torna a parlare in pubblico, a Verona. Il presidente del Progetto Cul­turale e vicario di Benedetto XVI per la città di Ro­ma, terrà una Lectio Magistralis su "Gesù di Nazareth. Attualità e speranza di un uomo. La storicità di Cristo in un approccio teologico al libro di Bene­detto XVI". Il polverone delle ultime settimane do­vrebbe finalmente diradarsi.



Editorialisti e commentatori hanno fatto a ga­ra a interpretare ogni sus­surro proveniente dalla Curia romana come un in­dizio a favore o contro gli schieramenti politici in campo. I neo centristi che sperano nella rinascita di una nuova Democrazia Cristiana del terzo millennio. I teodem di Veltroni che, guidati dalla Binetti, temono la radicalizzazione delle posizioni sui temi della bioetica. I teocon del Pdl che hanno letto con preoccupazione i se­gnali contraddittori che sembravano emergere dal­l'episcopato italiano. Anche la neonata lista di Ferrara contro l'aborto ha suscitato più di un interro­gativo rimasto senza risposta. In molti hanno pa­ventato improvvise e inedite prese di posizione da parte dei vescovi italiani.



Alla fine dell'esasperata attenzione politica in­torno al voto dei cattolici, però, si scopre che da parte dell'assemblea dei vescovi italiani c'è invece una inaspettata coerenza di lungo corso. Tutto era iniziato nel 1995, a Palermo, quando fu proprio lo stesso Ruini, d'intesa con Giovanni Paolo II, a lan­ciare il Progetto Culturale. «La presenza e l'inci­denza in ambito sociale e politico è una finalità "se­condaria" del progetto culturale, rispetto a quella primaria dell'evangelizzazione della cultura - ha spiegato qualche settimana fa lo stesso Ruini a Pao­lo Bustaffa del Sir -. È però anch'essa una finalità irrinunciabile, perché il Vangelo è per la salvezza di tutto l'uomo. In ambito politico, come precisa mol­to bene l'Enciclica Deus caritas est, le responsabilità dirette sono non della Chiesa come tale ma dei cri­stiani laici, a cui è affidato un compito rilevantissi­mo nell'attuazione del "progetto culturale"».



Un progetto, quello della Cei, che è legato a una "antro­pologia cristiana" alla quale i cattolici infatti non intendono rinunciare. Si deve leggere in questo senso il duro attacco che Francesco D'Agostino, su Av­venire di domenica, ha lanciato alla presenza della Bonino e di Veronesi nelle liste del Pd. Nel chiasso mediatico di una cam­pagna elettorale giocata sugli slogan a effetto e sulla spetta­colarizzazione del messaggio politico, come da subito è stata caratterizzata abilmente da Veltroni, i messaggi più autenti­ci e profondi sono proprio i più difficili da interpretare corret­tamente. Lo avevamo già scrit­to su queste pagine. Nella nuo­va tonicità di una campagna al­l'americana, la differenza si se­gna fra coloro che cercano la verità e coloro che cercano un consenso cieco e non ragiona­to. Fra coloro che si presentano con la propria identità storica riconoscibile e coloro che inve­ce cercano voti mistificando la realtà e confondendo le carte in tavola. In una competizione po­litica giocata in parte anche sui toni demagogici dell'antipoliti­ca, il ruolo dei cattolici diventa quindi determinante non solo in termini numerici ma anche e soprattutto per restituire credi­bilità al dibattito.



L'elettorato merita rispet­to, si legge su Avvenire. Un'af­fermazione da sottoscrivere in pieno. Prima del voto dovran­no essere illustrate con la mas­sima onestà le posizioni che ogni singolo partito assumerà quando verranno messi in di­scussione temi antropologica­mente rilevanti. Per i cattolici impegnati in politica si tratta di una sfida tutta da giocare. Non è facile, e ce ne siamo già accorti, costruire, con le cate­gorie dell'oggi, una visione del mondo cristiana, consapevole delle proprie radici e della propria pertinenza sulle que­stioni vitali e fiduciosa circa le proprie potenzialità nel dialo­go con la cultura contempora­nea. Non è facile riconoscere le sfide cruciali che la cultura pone oggi alla fede. Ma è pro­prio raccogliendo queste sfide che la fede può esprimere la propria energia creativa e ali­mentare il rinnovamento del­l'uomo e della società.



Si spiega in questo modo la decisione di Benedetto XVI di affidare a Ruini proprio adesso la guida del "Progetto Cultura­le della Cei". Non solo perché, come si ripete sempre più spesso in Curia, il Papa nutre fiducia e rispetto per Ruini ma perché ritiene che l'esperienza po­litica di mediazione che il cardinale ha maturato in questi anni sia pre­ziosa per dipanare i nodi politici più rilevanti dell'attuale caotica situazione. Nel polverone scatenato dalla nascita di nuovi schieramenti neocentristi era infatti facile scambiare l'affan­narsi dei mass media cattolici nei confronti dell'uno o dell'al­tro come un tentativo di legitti­mare un polo a discapito dell'avversario. Ma a leggere la ru­brica delle lettere su Avvenire che Dino Boffo ha deciso di lasciare aperta ogni giorno come "forum elezioni", si capisce quanto ormai siano distanti e divergenti le opinioni e le sim­patie politiche di quei dieci mi­lioni di italiani che vanno a messa. Sa­bato scorso, alla vigi­lia delle convulse trattative fra Casini, Pezzotta, De Mita e con l'eco ancora vi­va delle proteste della Binetti, il fo­rum titolava a tutta pagina "Convinti o ancora incerti, ma in tutti la volontà di contare". Nella pagina accanto, lo stesso Boffo, rispondendo a un lettore sull'iniziativa politica di Ferrara, scriveva: «Se una preoccupazione iniziale ho avuto, è quella relativa alla di­spersione dei voti cattolici». L'obiettivo più sentito del progetto culturale della Cei che Ruini guiderà nei prossimi anni è la battaglia contro il neogno­sticismo e contro quella medita forma di relativismo culturale che i giornali si ostinano a chia­mare sinteticamente "antipoli­tica" (ne abbiamo avuto una prova sempre nel fine settimana con l'ultima provocazione di Grillo che ha proposto ai cam­pani di attuare una sorta di "se­cessione" da Roma). Basta sen­tire cose diceva lo stesso Ruini all'inizio di febbraio. «Si tratta, in concreto, di interpretare i grandi movimenti che avven­gono nella cultura e nella so­cietà. La storia cammina, e oggi cammina assai rapidamente: possiamo dunque attenderci che altre importanti novità si profilino nei prossimi anni. Dobbiamo saperle cogliere ed interloquire con esse, per orientarle in maniera positiva, sotto il profilo umano e cristia­no». Ai politici italiani che, in questi giorni convulsi, tirano le giacchette a vescovi e cardinali, Ruini ricorda che «la cultura italiana, profondamente impre­gnata dal cattolicesimo, può rinnovarsi ed inoltrarsi nel fu­turo non in opposizione al cat­tolicesimo stesso, ma al contra­rio traendo da esso nuova linfa ed ispirazione».


Il progetto culturale della Chiesa italiana, come logo, ha la stilizzazione di una piazza. Dall'agorà dei Greci alla piazza del Comune, la piazza ha sem­pre rappresentato il cuore della città, soprattutto in Italia. Nel villaggio globale, la piazza del progetto culturale, quindi, potrebbe essere un luogo dove in­contrarsi, confrontarsi e rico­noscersi attorno alle idee e ai problemi. Ma potrebbe essere anche il luogo dove pensare più a fondo le questioni fondamentali della cultura. Dovrebbe es­sere, infine, il luogo dove comu­nicare tutto questo agli altri, nella convinzione che la comu­nità nasce anche dalla comuni­cazione. Sarebbe un buon auspicio che la nuova legislatura che ci apprestiamo a varare prendesse spunto proprio da questa immagine.

Il velo, bavaglio alla lotta delle donne turche

Il velo, bavaglio alla lotta delle donne turche

Il Manifesto del 26 febbraio 2008, pag. 11

di Ertugrul Kurkcu

Dai tempi di Marx sappiamo che il mon­do religioso non è altro che il riflesso del mondo reale. L'onnipotente «Allah» del mondo religioso è l'uomo dominan­te, ricco e potente di questo mondo. Il velo non lega le donne a Allah, ma all'uomo. Il velo è l'annuncio più crudo e evidente del patriarcato come base delle relazioni di genere e della subordi­nazione delle donne agli uomini; è l'espressione dell'accettazione da parte delle donne di questa stes­sa subordinazione come valore supremo. La lotta secolare delle donne in Turchia per liberarsi da questa subordinazione, per trasformare la loro vi­ta è oggi pesantemente sotto attacco da parte della santa alleanza delle «caser­me-moschee-mercato-sette-lupi grigi».



Per ironia della sorte l'ultimo passo di questa instancabile offensiva da par­te del partito unico di governo del pri­mo ministro Recep Tayyip Erdogan, che etichetta la liberazione della donna come «adozione dell'immoralità dell'occidente», per togliere le donne dalle stra­de, dalla sfera pubblica, dai luoghi di la­voro e farle rientrare in casa, viene pro­mossa con il nome di «libertà della don­na». La reazione delle donne liberate di fronte ai tentativi del governo di elimi­nare il veto di indossare il velo nelle uni­versità dipende dal fatto che le donne, meglio di altri, hanno compreso il vero significato di questo partito della giusti­zia e dello sviluppo (Akp).



Presentare il velo, il simbolo della dominazio­ne del maschio, come «li­bertà per le donne» è in realtà un classico esempio di strategia nella con­tinua guerra psicologica. Non a caso la domanda posta è: «Siete a favore della libertà di istruzione per le donne che portano il velo?»



Guardando al relativa­mente elevato numero di persone «sag-ge» che accettano di rispondere a que­sta sorta di «quiz legale» che prevede soltanto sì o no come risposta, bisogna dedurre che anche loro appartengono a qualche religione, la «religione della li­bertà». La paura del «peccare contro la libertà» li porta inevitabilmente nel gio­co di potere dell'Akp. Ci sono altri che vedono questa questione come una si­tuazione di «concedi per ottenere», il motto favorito di Erdogan. Se diciamo 'sì' all'eliminazione del divieto sul velo nelle università diranno 'sì' ad una mag­giore libertà di espressione. Questo è il ragionamento.



Quella che ci viene posta non è una «domanda legale». Quella che ci viene posta è una «domanda storica»: il nuo­vo blocco Akp-Mhp, formato con il pas­sivo consenso dell'esercito, rappresen­ta una soglia per la liber­tà? La lotta per permette­re alle donne la «libertà di andare all'università con il velo» è una priorità nel programma dell'opposi­zione sociale?



E' evidente che il fron­te nazionalista-laico in cui le forze armate turche hanno giocato un ruolo centrale prima delle elezioni generali è collassato con la vittoria schiacciante dell'Akp. E l'esercito agisce seguendo la sua priori­tà principale, cioè l'integrità territoriale, o in altre parole, eliminare la questione kurda.



L'esercito, sotto la nuova spinta degli equilibri ha deciso di consolidare le sue «operazioni oltreconfine» in territorio iracheno con le «operazioni islamiche dell'Akp» nelle zone kurde in Turchia. Di fronte a una scelta difficile, l'esercito

ha detto 'sì' al controllo islamico del­l'Akp del sud est della Turchia per mina­re il sostegno popolare al Pkk. L'eserci­to ha dovuto lottare duramente per otte­nere da Washington il consenso alle operazioni oltreconfine.



La coalizione Akp-Mhp formata per l'eliminazione del bando sul velo nelle università riempie il vuoto politico la­sciato dal collasso del fronte «nazionali­sta-laico» dopo l'abbando­no delle forze armate. La delusione e la depressione espresse dal leader dell'op­posizione Deniz Baykal del Chp riassume meglio di qualunque altra cosa le conseguenze di tale situazione, «ora non ci resta che il sistema giudiziario». Eppure le donne, le più sincere partecipanti delle oceaniche manifestazioni repubblicani della scorsa estate sono lì, nelle strade. Non sorprende vederle uscire nuovamente in strada. Mentre il velo ironicamente ottiene lo status di «simbolo della libertà». Le donne sono in piazza perché le politiche sociali, cul­turali e economiche dell'Akp mirano a spingere le donne, con o senza il velo, a casa, a fare figli e a obbedire agli uomi­ni.



NOTE

Direttore di Bianet

«Difficile interrompere una gravidanza. L’obiezione è massiccia...»

l’Unità 26.2.08
Giovanna Scassellati. La ginecologa del S. Camillo di Roma
«Difficile interrompere una gravidanza. L’obiezione è massiccia...»
di Adele Cambria

Giovanna Scassellati appartiene ad una «genealogia» di ginecologhe. La madre, Alessandra, introdusse il parto in casa e il parto nell’acqua, a Roma. E lei, cinquant’anni vigorosi e limpidi, ha seguito l’assemblea nazionale femminista di sabato e domenica a Roma, dando magari una sveglia di concretezza, quando il discorso si faceva troppo astratto, dalla sua trincea nell’Ospedale San Camillo: «Tra due anni - ha detto- vado in pensione. Al San Camillo siamo rimasti praticamente in due, un collega ed io, ad aiutare le donne che vogliono abortire. E non tanto meglio stanno al Policlinico Umberto I°, e negli altri due o tre ospedali che applicano la 194. L’obiezione è massiccia, spero che almeno la Ru-486 migliori la situazione, un intervento non chirurgico allevia il trauma della donna, e, nello stesso tempo, la responsabilizza maggiormente».
Ma perché una donna adulta e consapevole, in una grande città abortisce invece che usare anticoncezionali?
«Crede che sia facile trovare gli anticoncezionali a Roma? La pillola più moderna, quella meno pesante, il servizio nazionale non la passa, devi comprarla, e sempre che il tuo medico di famiglia non sia obiettore e ti faccia la prescrizione. I preservativi spesso i maschi italiani si rifiutano di usarli, il diaframma con le creme antifecondative è addirittura scomparso dalle farmacie…».
Al San Camillo l’anno scorso gli aborti sono stati 2.500, 1100 le italiane...
«Tra le quali un centinaio di minorenni, spesso accompagnate dai genitori, e questo è un dato positivo, secondo me: una ragazza ha bisogno del calore familiare, in quei momenti. Certo, se ci fosse una vera educazione sessuale nelle scuole...».
Gli aborti terapeutici sono i più drammatici...
«Spesso si tratta di bambini molto desiderati...E comunque una quota di aborti nella vita delle donne è purtroppo ineliminabile. In Italia poi non ti danno neanche la pillola del giorno dopo!».

lunedì 25 febbraio 2008

Pd in allarme per gli attacchi Cei "Ma la carta dei valori è chiara"

Pd in allarme per gli attacchi Cei "Ma la carta dei valori è chiara"
La Repubblica del 25 febbraio 2008, pag. 3

di Giovanna Casadio

Dionigi Tettamanzi, l'arcivescovo di Milano, non si è messo certo a criticare lo scien­ziato Umberto Veronesi e il Par­tito democratico per averlo can­didato. Diciamo che «la Chiesa ambrosiana è un po' diversa». Mentre qui, a Roma, tra il cardi­nale Camillo Ruini e il segretario della Cei, Giuseppe Betori si re­spira un'altra aria nei confronti del partito di Veltroni, più pesante, più ostile. Al loft sono al­larmati: l'attacco di "Avvenire" contro Veronesi e i Radicali nel Pd, sembra un intervento a gamba tesa. La prova del nove che, nonostante tutti gli sforzi per ricucire un rapporto di fidu­cia con il Vaticano, nel rispetto dei reciproci ruoli, i cattolici democratici devono rassegnarsi al rifiuto. Un attacco covato e ora, al momento opportuno, stru­mentalmente sganciato?



Dario Franceschini il vice di Veltroni è il garante dei cattolici dentro il Partito democratico. Prudenza lo obbliga a non com­mentare. Ma nelle ultime ore ha dovuto rispondere a mail, sms, telefonate in cui il mondo catto­lico, gli stessi amici di partito gli chiedevano spiegazioni in par­ticolare sui Radicali. «Il nostro è un partito moderato, quindi nessuna paura — ha replicato lui — Lo sapete che nella lista con Veronesi, uno scienziato contro cui è davvero difficile condurre l'affondo, sarà candi­dato il filosofo cattolico Mauro Ceruti». A Ceruti (con Reichlin) è stata affidata la mediazione e la stesura del manifesto dei va­lori del Pd, che è «la garanzia». Ci sono stati abboccamenti anche con Andrea Riccardi per candi­darlo in lista a Roma. Ma il fon­datore della Comunità di Sant'Egidio non ha sciolto la ri­serva. «Il Manifesto dei valori è la nostra Carta costituzionale», sottolinea Pierluigi Castagnetti, leader cattolico a disagio. «Non c'entrano i vescovi. Il problema non sono loro mala base dei cat­tolici che guardano a noi». Un esempio? Castagnetti gira a chi le vuole, Veltroni compreso, le mail che sono arrivate al suo si­to nelle ultime ore. «Onorevole, mi convinca perché dovrei vo­tare Pd», Samuel di Gemonio. Da Stella Fabiani, della commissione per il Manifesto dei va­lori: «Grazie, perché nel Pd c'è qualcuno come lei che almeno difende i nostri valori». E Davide: «Cosa ci stiamo a fare, se si va a questo tipo di accordi?».



«Capisco che cosa fatta capo ha — afferma Castagnetti — Non possiamo tuttavia nascon­derci le difficoltà. Io mi auguro che Walter abbia chiesto e otte­nuto dai Radicali il vincolo di mandato, abbia chiarito che chi viene con noi accetta il Manife­sto. Non è che possiamo trovar­ci con nove radicali che presen­tano una proposta di legge sul­l'eutanasia e nove cattolici del Pd che neppure vogliono il te­stamento biologico. Noi gio­chiamo il nostro prestigio, la nostra credibilità e impegno per dare garanzie al mondo cattoli­co». Nella discussione accesa che già si è avuta sulla questione nei giorni scorsi, Franceschini ha usato l'argomento della fi­sionomia del partito: «Un gran­de partito non può essere identitario. Fermo restando che un rischio e la preoccupazione per la presenza dei radicali, c'è. Tut­tavia, quante posizioni individuali ci sono nel Pd sui temi eti­ci?». Infatti. Ci sono, e ci saran­no, la teodem Paola Binetti e lo scienziato Pier Giorgio Odifreddi. I Radicali l'hanno subito tra­dotto in un paradosso: «Tra il diavolo e l'acqua santa noi siamo addirittura centristi».


Ma la questione-vescovi me­rita un capitolo a parte. Franco Monaco, prodiano, "cattolico adulto" si sfoga: «Una parte del­la Chiesa approfitta delle circo­stanze per sottolineare la di­stanza dal centrosinistra in ge­nerale, e dal Pd. Va così anche in questo caso. È stato sorpren­dente il discorso Boffo, il diret­tore di "Avvenire"pro centrode­stra e per Pier Ferdinando Casi­ni». Avrebbe preferito Monaco, come anche Arturo Parisi, un apparentamento con la lista dei radicali, non una loro ospitalità nel partito. Precisa, ancora. «Non parlerei di vescovi in generale, un cosa sono le gerarchie romane, altra i prelati in tutt'Italia». Mercoledì intanto i cattolici del Pd si trovano a con­vegno su «Educazione al bene comune». Ci saranno tutti, ex Ppi, rutelliani, teodem, cristia­no-sociali, prodiani a confronto con le associazioni ecclesiali chiamate a dire laloro, con il se­gretario Veltroni, con Franco Marini. «Noi siamo preoccupa­ti, davvero — è l'appello di Emanuela Baio — Ma non dalle can­didature, piuttosto dal rischio che i cattolici siano irrilevanti nella fisionomia del Pd».

La sottile differenza tra Zapatero e Veltroni

il Riformista 25.2.08
La sottile differenza tra Zapatero e Veltroni
di Tommaso Labate

Narrano le cronache che Zapatero, aprendo a Madrid la campagna elettorale, ha riscaldato i cuori dei militanti ricordando che da 130 anni il Partito socialista operaio di Spagna si batte per gli stessi obiettivi. Le cose, si capisce, non stanno proprio così, il Psoe zapaterista del "socialismo dei cittadini" è ben diverso non solo, che so, dal Psoe classista di Largo Caballero, "il Lenin spagnolo", ma anche, per restare in tempi recenti, da quello rampante di Felipe Gonzalez, che la Spagna la ha governata, e bene, per dodici anni, prima del doppio mandato di Aznar. E però nelle parole di Zapatero c'è una verità di fondo, incontrovertibile. Il Psoe è cambiato, ha rinnovato in profondità, e non senza rotture, gruppi dirigenti e cultura politica: lo stesso Zapatero ha detto di considerarsi più un "democratico sociale" che un socialdemocratico nel senso classico del termine. Mai e poi mai, però, sono stati chiamati in causa né il nome né l'identità del partito. E questa scelta (che, dalle parti nostre, verrebbe probabilmente considerata conservatrice) a quanto pare non ha impedito ai socialisti spagnoli e soprattutto alla Spagna, di mietere successi di qualche rilievo.
Le elezioni del 9 marzo non sono affatto vinte in partenza. Questo giornale, che è stato dalla parte di Zapatero quando tutto o quasi il centrosinistra italiano, e proprio mentre stava andando a sfracellarsi, virtuosamente assicurava che mai e poi mai sarebbe caduto nella "deriva zapaterista", per la vittoria del Psoe e del suo leader fa intensamente e apertamente il tifo. Vorrei essere chiaro. Non è soltanto questione di difesa della laicità e di allargamento dei diritti civili, ma con il nostro tifo la difesa della laicità e dei diritti civili c'entrano molto, anzi, moltissimo. Se il 9 marzo, come speriamo e crediamo, Zapatero vincerà le elezioni, sarà anche perché ha dimostrato, e dal governo, che il socialismo liberale e democratico ha un futuro (in Spagna, ma non unicamente in Spagna) solo se è capace di rinnovarsi in profondità restando fedele ai suoi principi di fondo, così da stare sul filo del cambiamento della società per interpretarlo e per guidarlo; e che di questo rinnovamento la capacità di declinare con coraggio il grande e modernissimo tema dei diritti di cittadinanza è parte essenziale. Può darsi pure, tocchiamo ferro, che perda: non solo i socialisti spagnoli, ma tutti i riformisti europei si leccheranno le ferite, ma il Psoe resterà lo stesso un grande partito socialista.
Fin qui Zapatero, la Spagna, l'appuntamento del 9 di marzo. Poi naturalmente ci sono Veltroni, l'Italia, l'appuntamento del 13 aprile. Lì, un antico partito socialista che, cambiando, cambia il Paese. Qui, dove (lo so, lo so, non rinnoviamo discussioni antiche) un grande partito socialista non c'è mai stato, e quando ha cercato di prendere forma un po' si è schiantato, molto è stato schiantato, si cerca, e in poche settimane, di mettere su qualcosa di assolutamente inedito, non solo in Italia, ma in Europa, perché di questo si parla quando ci occupa del Partito democratico. Tutto sta, naturalmente, a capire di quale novità si tratti. Abbiamo perso qualche giorno a discutere, sul Riformista, tra chi, come me, lo considera (e non è certo un'accusa) alla stregua di un moderno partito di centro, e chi sostiene che viceversa è un partito riformista di centrosinistra non dissimile dai grandi partiti socialisti europei, e si chiama diversamente solo per problemi di storia patria. A metterla giù così, mi rendo conto, la discussione magari è anche dotta, ma è pure un po' oziosa, anche se, al fondo, resto delle mie opinioni, perché i socialisti europei (il Psoe, ma non solo il Psoe) sono un'altra cosa. In ogni caso: basta guardare un attimo alla trama degli accordi fatti e di quelli falliti, o al dosaggio delle candidature, pardon, delle nomine, tra laici e clericali, o tra imprenditori e operai (ma si potrebbe continuare) per il Parlamento prossimo venturo, per prendere atto che le definizioni su cui ci siamo affettuosamente accapigliati sono roba del passato. Non sembra propriamente nuovissimo nemmeno il Pd: di partiti pigliatutto (catch-all party) Otto Kirchheimer cominciò a parlare tanti anni fa, e a ragione, perché questa è divenuta la forma prevalente del partito politico moderno. Solo che da noi, come spesso ci capita, siamo andati più avanti, molto più avanti. Almeno nelle aspirazioni. Perché vincere, e mettere radici salde anche in caso di sconfitta (e certo non auguro a Veltroni di perdere), è un altro discorso.

I diritti dimenticati

La Repubblica 25.2.08
I diritti dimenticati
di Stefano Rodotà

Negli ultimi giorni l´agenda elettorale è cambiata. Sembrava che i temi riguardanti i diritti civili, le questioni «eticamente sensibili» dovessero rimanerne fuori, per una tacita intesa tra i grandi contendenti, timorosi di discussioni difficili che potevano rendere più polemici i confronti, e così provocare divisioni all´interno di Pd e Pdl. Le cose sono andate diversamente.

Perché qualche irriducibile non si rassegnava a questa rimozione e, soprattutto, perché una cronaca impietosa mostrava una realtà insensibile agli ammiccamenti tra i partiti, com´è avvenuto a Napoli quando una donna che aveva appena interrotto una difficile gravidanza si è trovata nelle mani della polizia. Da qui una fiammata di consapevolezza, con le donne che si riprendono la piazza e la parola; con categorie professionali abitualmente assai prudenti, come quella dei medici, che assumono posizioni nette; con l´arrivo nel Pd delle candidature «scandalose» dei radicali e di Umberto Veronesi.
Qualcuno dirà, ancora una volta, che le elezioni si vincono dando risposte precise ai bisogni materiali, che oggi sono quelli dell´economia, del fisco, del lavoro, della crescita dei prezzi, della sicurezza. In tempi tanto difficili, i diritti civili vecchi e nuovi appartengono ad un «secondo tempo» della politica, sono un lusso che ci si può permettere solo dopo aver risolto le questioni davvero urgenti. «Prima la pancia, poi vien la morale» – canta alla fine del secondo atto dell´Opera da tre soldi di Bertolt Brecht «il re dei mendicanti», Mackie Messer. Ma può la politica vivere senza ideali, senza gettare il suo sguardo al di là delle contingenze, non per sfuggire ad esse, ma per coglierne il significato più profondo? «L´uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che viene dalla bocca di Dio». Anche il non credente coglie in questo passo del Vangelo di Matteo un insegnamento che non può essere trascurato, e che consiste appunto nella necessità di trarre ispirazione da qualcosa che non consista solo nell´amministrazione del quotidiano.
Ma – si può ancora obiettare – tutti i sondaggi ci mostrano che temi come il testamento biologico o le unioni di fatto raccolgono un consenso modesto.
Ora, a parte la considerazione che i risultati dei sondaggi sono fortemente influenzati dal momento in cui sono effettuati e dal modo in cui sono strutturate le domande, l´esistenza di un gruppo di elettori sia pur limitato, ma che farà le sue scelte proprio in base al modo in cui i partiti si pronunceranno su quelle questioni, deve far riflettere quanti sottolineano che il risultato elettorale dipenderà probabilmente dall´orientamento di fasce ristrette dell´elettorato. E, se si vuole rimanere nella dimensione dei sondaggi, vale la pena di ricordare che, quand´era ministro della Salute, Umberto Veronesi aveva un gradimento altissimo, superiore a quello degli altri suoi colleghi di Governo.
Nasce forse da qui il risentimento di alcuni ambienti per le candidature dei radicali e di Veronesi, per il comunicato sui temi della nascita della Federazioni dei medici. Si chiede chiarezza, ma in realtà si è disturbati proprio dal fatto che quelle candidature sono chiarissime, comprensibili per i cittadini senza distorsioni tattiche. Disturbano perché rifiutano il monopolio dell´etica da parte di chicchessia, perché manifestano convinzioni forti, ma in nome del dialogo e del confronto, non della pretesa di schiacciare gli altri sotto il peso di «valori non negoziabili». E´ buona cosa per la democrazia quando tutte le opinioni possono stare in campo con eguale forza e dignità.
Alle considerazioni contenute nel comunicato della Federazione di medici dovrebbero essere riservati lo stesso rispetto e attenzione che ambienti e giornali cattolici dedicarono, qualche settimana fa, a quel che disse un gruppo di primari medici romani sulla necessità di rianimare i feti nei casi di aborti tardivi. Si è sostenuto, da parte dell´«Avvenire», che quel testo non corrisponde al documento effettivamente votato. Chiarimenti a parte su questo aspetto, è bene ricordare che lo stesso giornale riconosce che nella Federazione sono ufficialmente emerse posizioni critiche sulla legge sulla procreazione assistite e di pieno sostegno alla legge sull´aborto ed alla pillola del giorno dopo. Come si diede piena legittimità alla privata presa di posizione dei primari romani, allo stesso modo si deve riconoscere rilevanza ad una posizione espressa nell´ambito della massima organizzazione dei medici, se non altro perché smentisce la tesi tante volte avanzata di un massiccio rifiuto dei medici delle nuove tecniche che la scienza mette a disposizione delle donne.
Arricchita l´agenda elettorale con gli ineludibili temi che riguardano la vita delle persone e i loro diritti, si tratta ora di vedere come questa novità sarà gestita politicamente. La salute si presenta giustamente come un tema centrale, che sollecita l´autocandidatura di Giuliano Ferrara ad occupare quel ministero e fa nascere il timore che, invece, il ministro possa essere proprio Umberto Veronesi. Al futuro ministro, quale che sia, conviene ricordare che, proprio in materia di salute, l´articolo 32 della Costituzione stabilisce che «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». E´, questa, una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, poiché pone al legislatore un limite invalicabile, più incisivo ancora di quello previsto dall´articolo 13 per la libertà personale, che ammette limitazioni sulla base della legge e con provvedimento motivato del giudice. Nell´articolo 32 si va oltre. Quando si giunge al nucleo duro dell´esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte all´indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell´interessato. Il governo del corpo e della vita appartiene all´autonomia della persona. Un principio non ispirato da una deriva individualistica, ma memore dell´orribile sperimentazione dei medici nazisti, processati proprio mentre si scriveva la nostra Costituzione. E da quella esperienza nacque il Codice di Norimberga, che subordina ogni intervento sul corpo al consenso dell´interessato.
Tornando al presente, si deve sperare che non si avvii una spirale «compensativa», un bilanciamento affidato a candidature cattoliche. Se così fosse, il Pd diverrebbe prigioniero di una schizofrenia paralizzante, la stessa che nella passata legislatura ha impedito ai disegni di legge sul testamento biologico e sulle unioni di fatto di arrivare in aula. E, poiché è tempo di programmi e di promesse e Veltroni ha parlato della immediata presentazione in Parlamento di una serie di proposte se vincerà il suo partito, si può chiedere un altro impegno. Qualora il Pd non raggiunga la maggioranza, presenti lo stesso le sue proposte e usi gli spazi e i tempi riservati alle opposizioni dai regolamenti parlamentari per chiederne la discussione e sollecitarne il voto.
Certo, in questo modo si corre il rischio della bocciatura. Ma sarebbe peggiore il silenzio, e il rifiuto di chiedere il consenso sociale, di promuovere in concreto la cultura dei diritti. Vi sono comportamenti «impolitici» che sono il miglior antidoto all´antipolitica.

domenica 24 febbraio 2008

"È una riflessione seria lasciamo le ideologie fuori dagli ospedali"

La Repubblica 24.2.08
L’Europa è più avanti
Alessandra Kustermann, ginecologa alla Mangiagalli: "È una riflessione seria lasciamo le ideologie fuori dagli ospedali"
di Laura Asnaghi

Da tempo ci battiamo per la rapida applicazione della Ru486. Stiamo parlando di una pillola diffusa da anni in tutto il continente, e che in Italia ancora non ha avuto il via libera dell´Agenzia del farmaco
"L´Ordine dice a chiare lettere che la legge serve alla tutela della salute delle donne"

MILANO - «Con questa presa di posizione la Federazione dell´Ordine dei medici dimostra di essere molto avanti rispetto alla valanga di polemiche che negli ultimi mesi hanno imperversato sulla 194». Alessandra Kustermann, la ginecologa della Mangiagalli da sempre impegnata in difesa della legge sull´aborto, giudica positivamente il documento approvato ieri a Roma dall´Ordine dei medici.
Dunque, per i "camici bianchi" la legge è buona e non va modificata.
«Certo, questo è quello che si dice a chiare lettere nel documento scritto dalla Federazione degli Ordini. In sostanza, si conferma che la legge, a distanza di trent´anni, funziona bene e soprattutto serve alla tutela della salute delle donne. Si riconosce, in sostanza, che la legge ha contribuito a cancellare, quasi del tutto, la piaga dell´aborto clandestino e quindi non va modificata».
Che peso ha questo documento di fronte all´ondata di critiche che si è abbattuta sulla 194?
«È un punto fermo, una certezza, nel mare di polemiche che si agitano contro la legge sull´aborto».
Vale a dire?
«Il documento rappresenta la voce dei medici, quelli chiamati ad applicare una legge dello Stato. Bene, loro si sono espressi e hanno dichiarato, in maniera scientifica, e non viziata da ideologie, che la 194 funziona, aiuta le donne a risolvere un problema, senza mettere a repentaglio la loro vita».
Il documento contiene anche un appello per una rapida applicazione della Ru486, la pillola che consente l´aborto farmacologico.
«È una battaglia che noi medici stiamo facendo da tempo e ci auguriamo che la presa di posizione della Federazione possa servire a smuovere ulteriormente le acque».
Sì ma, in Italia, le resistenze nei confronti della Ru486 sono ancora molto forti.
«È vero. Ma stiamo parlando di una pillola ormai diffusa da anni in tutta Europa, in ambito ospedaliero, e che da noi non ha ancora ottenuto il via libera dell´Aifa, l´Agenzia italiana del farmaco. Ci auguriamo che la situazione si possa sboccare in pochi mesi. Del resto, non possiamo restare il fanalino di coda dell´Europa anche su questo fronte».
Ma i medici cattolici sono ferocemente contrari alla Ru486 e quando si parla della sua autorizzazione in Italia si scatenano ancora battaglie pro e contro la pillola.
«La realtà è questa ma bisogna andare al di là dell´emotività e ragionare in maniera pacata, come ha fatto la Federazione dell´Ordine dei medici. Con il documento, emesso ieri, l´Ordine non fa che ribadire che la pillola abortiva, nel rispetto delle procedure previste dalla 194, è una tecnica più moderna per l´aborto e può rappresentare una opzione per le donne».
Ma lei se l´aspettava che l´Ordine dei medici prendesse questa posizione pro 194?
«Non avevo dubbi e mi fa piacere che il documento faccia riferimento anche alla prevenzione, mettendo l´accento sulla educazione sessuale e il sostegno sociale ed economico alle immigrate o alle adolescenti, e più in generale alle donne in difficoltà».