martedì 26 febbraio 2008

C’È LA LOGICA DIETRO LO SPIRITO"

TST 4 lug. ’07

ODIFREDDI: C’È LA LOGICA DIETRO LO SPIRITO"

PAGANI, CRISTIANI E RICERCATORI DEL XXI SECOLO: ECCO LE SORPRENDENTI METAMORFOSI
DI UN PERCORSO MILLENARIO
Da Marco Aurelio all'hi-tech, conoscere significa saper meditare
PIERGIORGIO ODIFREDDI UNIVERSITA' DI TORINO
Nei suoi famosi «Esercizi spirituali» Ignazio di Loyola ha codificato una pratica religiosa di concentrazione e autoanalisi basata su meditazioni ed esami di coscienza, che si fa comunemente risalire a un passaggio della «Seconda lettera ai Corinzi» di Paolo di Tarso («esaminate voi stessi, fate la prova su voi stessi»), anche se in realtà essa appare nella tradizione cristiana solo nel III secolo, a partire da Origene.
Questa pratica religiosa del Cristianesimo non è però altro che una versione riveduta e (s) corretta di una pratica laica che risale almeno ai presocratici, nota come «askesìs», «esercizio». Una pratica che, nonostante il nome («ascesi») che oggi suggerisce astinenze sessuali e mortificazioni corporee, era allora semplicemente un'attività interiore di pensiero, con lo scopo di trasformare la visione del mondo di chi la praticava.
L'appropriazione degli esercizi spirituali filosofici da parte del Cristianesimo fu facilitata dal fatto che, agli inizi, esso fu presentato dagli apologisti come una filosofia. O meglio, come «la» filosofia, l'unica vera: se i greci avevano infatti soltanto intravisto brandelli del «logos», il «Verbo», i cristiani ora pretendevano di possederlo interamente, addirittura incarnato. E questa concezione del Cristianesimo come (vera) filosofia rimarrà viva per secoli nel monachesimo, da Giovanni Crisostomo a Bernardo di Chiaravalle.
Ma il gioco riuscì unicamente perchè, in precedenza, la filosofia era già stata appunto considerata non soltanto come un sistema di pensiero, ma come un modo di essere e uno stile di vita, e il filosofo non soltanto come un pensatore, ma come una specie di monaco «ante litteram». E una delle pratiche comuni, del filosofo e del monaco, era la memorizzazione delle regole di vita e di condotta: laiche in un caso ed evangeliche nell'altro.
Gli esempi più tardi di queste regole laiche si trovano in «A se stesso» o «I ricordi»: una raccolta di pensieri di Marco Aurelio, l'imperatore che troppo spesso viene ricordato soltanto perchè immortalato nella statua equestre che campeggia sulla piazza del Campidoglio, o nei film «La caduta dell'Impero Romano» e «Il Gladiatore». Ma in precedenza regole simili erano già state raccomandate dai pitagorici, dagli epicurei e dagli stoici, Seneca in particolare.
Una di queste massime di saggezza suggeriva, ad esempio, di volere le cose come sono, invece di desiderare che esse siano come le vorremmo. La si trova già nel «Manuale» di Epitteto, ma i suoi echi risuonano fino a noi: dal «Così fan tutte» di Mozart («non può quel che vuole, vorrà quel può») a «Love the one you're with» di Crosby, Stills e Nash («se non sei con colei che ami, ama colei con cui sei»). E' con queste massime che ci si allenava all'«apatheia», la totale impassibilità nei confronti delle cose del mondo che, se derivata dalla loro vera conoscenza, poteva essere considerata addirittura l'essenza del Regno del Cieli.
Così infatti la considerò Evagirio, secondo le cui «Pratiche» il progresso spirituale procedeva dall'etica alla fisica alla teologia: più precisamente, dalla purificazione dell'anima alla conoscenza del vero ordine del creato (appunto, il Regno dei Cieli) alla contemplazione del Creatore (il Regno di Dio). Ma questa terminologia (anima-creato-Creatore), forse adatta agli uomini di buona volontà del Medioevo teologi co, è certamente anacronistica per gli uomini di buona razionalità dell'era tecnologica, ai quali non si può certo pretendere di parlare seriamente nel linguaggio delle favole di parrocchia.
Molto più adatta è la visione stoica proposta da Marco Aurelio, nella quale la logica sostituisce la teologia, e la Ragione il Creatore. Si ottiene così un sistema perfettamente adeguato ai tempi moderni, in cui la maturazione del percorso spirituale è affidata, oltre che all'etica, alla «fisica» e alla «logica»: o, come oggi diremmo, alla conoscenza scientifica e al pensiero formale, chi costituiscono appunto i cardini del sapere tecnologico. E la meditazione non consiste più nel concentrare la mente su qualche aforisma più o meno edificante di qualche santone più o meno ispirato, ma nel cercare di «vedere e definire un oggetto nella sua essenza in tutte le sue parti, secondo il metodo della divisione»: cioè nell'effettuarne un'analisi fisico-chimica da un lato, e logico linguistica dall'altro, per decostruire le apparenze e stabili re le interconnessioni.
Smettendo di chiedersi che cosa gli oggetti significhino per l'uomo in generale e per noi in particolare, e iniziando invece a scoprire quali siano le loro costituenti e le loro proprietà, individuali e collettive, si arriva a vederli in maniera distaccata e a smantellare i valori antropocentrici e convenzionali dai quali deriva il nostro attaccamento alle cose. Ci si incammina, cioè, sulla via di un'equanime saggezza laica che costituisce un'attraente alternativa razionale e colta alla coscienza religiosa e clericale: c'è forse da stupirsi che il Cristianesimo delle origini abbia dapprima cercato di annettersi lo stoicismo, inventandosi un apocrifo carteggio fra Seneca e Paolo, e poi l'abbia avversato fino a sopraffarlo nella memoria storica?
La testimonianza negativa di questa pulizia et(n)ica si trova nel fatto che, mentre oggi il mondo è pieno di accademie e di licei, cioè di cloni delle scuole che Platone e Aristotele avevano fondato ad Atene, non c'è neppure una stoa: eppure le tre scuole erano talmente importanti nell'antichità che, quando i greci decisero di inviare una missione diplomatica a Roma nel 156 prima dell'Era Volgare, dopo la conquista romana della Macedonia, non trovarono di meglio che scegliere Carneade (il manzoniano «chi era costui?») dall'Accademia, Critolao dal Liceo e Diogene dalla Stoa.
Anche i testi degli stoici precristiani sono andati in massima parte perduti, e con essi la memoria di un pensiero che oggi affiora parzialmente solo da fonti indirette. Tutto ciò che rimane è l'aggettivo «stoico», usato quasi esclusivamente nel senso di distacco impassibile che derivava dagli esercizi spirituali alla Marco Aurelio, condensati in massime quali: «Accettare volontariamente l'inevitabile, e non desiderare l'impossibile».
Secoli (anzi, millenni) di assuefazione a un pensiero irrazionale e a una visione magica del mondo, che oggi il clero e i clericali chiamano eufemisticamente «le radici cristiane dell'Europa», hanno finito col creare una contrapposizione con il pensiero razionale e la visione scientifica dell'universo. Ma è giunta l'ora di rivendicare le vere radici dell'Occidente, che ovviamente non stanno in Medio Oriente, e di riappropriarsi dei valori spirituali che alla «logica» e alla «fisica» attribuivano non solo gli stoici, ma anche i platonici e gli aristotelici: rispettivamente, come pratiche di distacco dalla quotidianità, come strumenti di percezione dell'armonia del mondo e come attività contemplative fine a se stesse.
Che la scienza e il pensiero formale possano costituire le basi per un'etica razionale e una spiritualità laica non lo si è mai dimenticato, naturalmente: lo testimoniano opere che vanno dal «Timeo» di Platone al «De rerum natura» di Lucrezio, dall'«Ethica» di Spinoza al «Tractatus» di Wittgenstein, che coniugano perfettamente l'ateismo confessionale nei confronti delle divinità «rivelate» con la professione di fede nel «Deus, sive Natura», «Dio, cioè la Natura», di Spinoza e Einstein.
L'urgenza dei tempi moderni non è dunque tanto di costruire un'etica razionale e una spiritualità laica, che ci sono sempre state, ma di sfatare le pretese delle religioni mediorientali e delle filosofie continentali di possedere il monopolio dei valori e della saggezza, sulla base del motto di Heidegger: «La scienza finisce dove il pensiero comincia». La verità è, invece, che le pratiche di quelle religioni e le teorie di quelle filosofie stanno agli esercizi spirituali basati sulla scienza e sulla logica come l'alchimia sta alla chimica, o l'astrologia all'astronomia, o la fantasia alla realtà. E che la vera religiosità non si esprime in giaculatorie e salmi, ma in preghiere come quella di Marco Aurelio: «Tutto ciò che è conveniente per te, o Universo, lo è pure per me

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