lunedì 25 febbraio 2008

La sottile differenza tra Zapatero e Veltroni

il Riformista 25.2.08
La sottile differenza tra Zapatero e Veltroni
di Tommaso Labate

Narrano le cronache che Zapatero, aprendo a Madrid la campagna elettorale, ha riscaldato i cuori dei militanti ricordando che da 130 anni il Partito socialista operaio di Spagna si batte per gli stessi obiettivi. Le cose, si capisce, non stanno proprio così, il Psoe zapaterista del "socialismo dei cittadini" è ben diverso non solo, che so, dal Psoe classista di Largo Caballero, "il Lenin spagnolo", ma anche, per restare in tempi recenti, da quello rampante di Felipe Gonzalez, che la Spagna la ha governata, e bene, per dodici anni, prima del doppio mandato di Aznar. E però nelle parole di Zapatero c'è una verità di fondo, incontrovertibile. Il Psoe è cambiato, ha rinnovato in profondità, e non senza rotture, gruppi dirigenti e cultura politica: lo stesso Zapatero ha detto di considerarsi più un "democratico sociale" che un socialdemocratico nel senso classico del termine. Mai e poi mai, però, sono stati chiamati in causa né il nome né l'identità del partito. E questa scelta (che, dalle parti nostre, verrebbe probabilmente considerata conservatrice) a quanto pare non ha impedito ai socialisti spagnoli e soprattutto alla Spagna, di mietere successi di qualche rilievo.
Le elezioni del 9 marzo non sono affatto vinte in partenza. Questo giornale, che è stato dalla parte di Zapatero quando tutto o quasi il centrosinistra italiano, e proprio mentre stava andando a sfracellarsi, virtuosamente assicurava che mai e poi mai sarebbe caduto nella "deriva zapaterista", per la vittoria del Psoe e del suo leader fa intensamente e apertamente il tifo. Vorrei essere chiaro. Non è soltanto questione di difesa della laicità e di allargamento dei diritti civili, ma con il nostro tifo la difesa della laicità e dei diritti civili c'entrano molto, anzi, moltissimo. Se il 9 marzo, come speriamo e crediamo, Zapatero vincerà le elezioni, sarà anche perché ha dimostrato, e dal governo, che il socialismo liberale e democratico ha un futuro (in Spagna, ma non unicamente in Spagna) solo se è capace di rinnovarsi in profondità restando fedele ai suoi principi di fondo, così da stare sul filo del cambiamento della società per interpretarlo e per guidarlo; e che di questo rinnovamento la capacità di declinare con coraggio il grande e modernissimo tema dei diritti di cittadinanza è parte essenziale. Può darsi pure, tocchiamo ferro, che perda: non solo i socialisti spagnoli, ma tutti i riformisti europei si leccheranno le ferite, ma il Psoe resterà lo stesso un grande partito socialista.
Fin qui Zapatero, la Spagna, l'appuntamento del 9 di marzo. Poi naturalmente ci sono Veltroni, l'Italia, l'appuntamento del 13 aprile. Lì, un antico partito socialista che, cambiando, cambia il Paese. Qui, dove (lo so, lo so, non rinnoviamo discussioni antiche) un grande partito socialista non c'è mai stato, e quando ha cercato di prendere forma un po' si è schiantato, molto è stato schiantato, si cerca, e in poche settimane, di mettere su qualcosa di assolutamente inedito, non solo in Italia, ma in Europa, perché di questo si parla quando ci occupa del Partito democratico. Tutto sta, naturalmente, a capire di quale novità si tratti. Abbiamo perso qualche giorno a discutere, sul Riformista, tra chi, come me, lo considera (e non è certo un'accusa) alla stregua di un moderno partito di centro, e chi sostiene che viceversa è un partito riformista di centrosinistra non dissimile dai grandi partiti socialisti europei, e si chiama diversamente solo per problemi di storia patria. A metterla giù così, mi rendo conto, la discussione magari è anche dotta, ma è pure un po' oziosa, anche se, al fondo, resto delle mie opinioni, perché i socialisti europei (il Psoe, ma non solo il Psoe) sono un'altra cosa. In ogni caso: basta guardare un attimo alla trama degli accordi fatti e di quelli falliti, o al dosaggio delle candidature, pardon, delle nomine, tra laici e clericali, o tra imprenditori e operai (ma si potrebbe continuare) per il Parlamento prossimo venturo, per prendere atto che le definizioni su cui ci siamo affettuosamente accapigliati sono roba del passato. Non sembra propriamente nuovissimo nemmeno il Pd: di partiti pigliatutto (catch-all party) Otto Kirchheimer cominciò a parlare tanti anni fa, e a ragione, perché questa è divenuta la forma prevalente del partito politico moderno. Solo che da noi, come spesso ci capita, siamo andati più avanti, molto più avanti. Almeno nelle aspirazioni. Perché vincere, e mettere radici salde anche in caso di sconfitta (e certo non auguro a Veltroni di perdere), è un altro discorso.

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