giovedì 28 febbraio 2008

Le religioni, la fratellanza e il totalitarismo

La Repubblica 29.2.08
Le religioni, la fratellanza e il totalitarismo
di Ulrich Beck

Le fedi possono gettare ponti tra gli uomini e nello stesso tempo scavare nuovi abissi dove non ce n´erano
L´identificazione con Dio e la demonizzazione del Dio che gli si oppone

L´umanità della religione reca in sé una tentazione totalitaria. L´universalismo della religione genera la fratellanza al di là della classe e della nazione, ma anche l´ostilità mortale. Così come può civilizzare gli uomini, Dio può anche barbarizzarli.
Prima tesi. La religione presuppone un valore assoluto: la fede – tutte le differenze e i contrasti sociali sono subordinati ad essa e irrilevanti. Il Nuovo Testamento dice: «Davanti a Dio tutti sono uguali». Questa uguaglianza, questa cancellazione dei confini che separano le persone, i gruppi, le società, le culture è il fondamento sociale delle religioni (cristiane). Ne consegue però che, con la medesima assolutezza con la quale sono superate le differenze sociali e politiche, viene istituita una nuova distinzione fondamentale e una nuova gerarchia: quella tra fedeli e infedeli, dove agli infedeli viene negato (in base alla logica di questo dualismo) lo status di persona. Le religioni possono gettare ponti tra gli uomini là dove esistono gerarchie e confini; nello stesso tempo, scavano nuovi abissi religiosi tra gli uomini, là dove prima non ne esistevano.
L´universalismo umanitario dei credenti si basa sull´identificazione con Dio e sulla demonizzazione del Dio che gli si oppone, quello dei «servi di Satana», per usare l´espressione di San Paolo e di Lutero. Il germe della violenza che si richiama a motivazioni religiose è radicato nell´universalismo dell´uguaglianza dei credenti, che toglie a chi non ha una fede o ha una fede diversa ciò che promette al credente: la dignità umana in un mondo di estranei.
Gli dei unici e le loro verità eterne creano le categorie, odiose e gravide di violenza, del non-uomo o del sotto-uomo – «eretico», «pagano», «superstizioso», «idolatra», ecc. Il «male» rappresentato da questi «figli delle tenebre» si riferisce ad azioni e pensieri al di là di qualsiasi immaginazione, di qualsiasi giustificazione, di qualsiasi possibilità di difesa. Questo fa temere che, come rovescio della medaglia del fallimento della secolarizzazione, incomba una nuova era di oscurantismo. I ministeri della Salute avvertono: la religione può uccidere.
La storia della colonizzazione è un esempio evidente di come la categoria dell´infedele, che deve essere convertito per la salvezza della sua anima, sia servita a «legittimare» inimmaginabili violenze e crudeltà. Lo confermano con aperta brutalità le parole di Cristoforo Colombo, per il quale la diffusione della fede «e la riduzione in schiavitù degli infedeli sono strettamente legate tra loro».
La demonizzazione religiosa dell´«altro» è efficacemente illustrata anche dalla «guerra dei matrimoni misti» tra cristiani cattolici e protestanti, infuriata nel XIX e nel XX secolo e tuttora in corso. Questo fondamentalismo confessionale, che non vuole vedere e riconoscere nell´«infedele» l´altro cristiano, incontra un rifiuto sempre più deciso proprio da parte dei fedeli praticanti. Qui, come riferisce Hans Joas, è avvenuta un´inversione dell´onere della prova riguardo alla cooperazione ecumenica: «A dover essere giustificata è sempre più la sua mancanza, non la sua presenza».
Seconda tesi. Già solo la domanda: Cos´è la religione? rivela un riflesso eurocentrico. Infatti, la religione è intesa come sostantivo, e questo sottintende un insieme ben definito di simboli e pratiche che costituiscono un aut-aut: vi si può credere o non credere e, se si appartiene a una comunità di fede, non si può appartenere nello stesso tempo a un´altra. In questo senso è opportuno e necessario tracciare una distinzione tra «religione» e «religioso», tra la religione come sostantivo e come aggettivo.
Il sostantivo «religione» ordina il campo religioso in base alla logica dell´aut-aut. L´aggettivo «religioso», invece, lo ordina in base alla logica del «sia … sia». L´essere religioso non dipende dall´appartenenza a uno specifico gruppo o a una specifica organizzazione; piuttosto, definisce un determinato atteggiamento nei confronti delle domande esistenziali che riguardano la posizione e l´autocomprensione dell´uomo nel mondo.
Forse, allora, l´ambiguità tra amore per il prossimo e inimicizia mortale deve essere riferita non tanto al «religioso», quanto piuttosto alla «religione». Questo aut-aut monoteistico, gravido di violenza, può essere relativizzato, aggirato, attenuato da una tolleranza sincretistica del «sia … sia»?
L´autorità di principio della fede rianimata è l´Io sovrano, che si costruisce un «Dio tutto suo». Ciò che così si delinea non è la fine della religione, ma la rinascita di una nuova anarchia della fede soggettiva, che travalica tutti i confini di religione e si adatta sempre meno alle strutture dogmatiche approntate dalle religioni istituzionalizzate. L´unità di religione e religioso viene meno. Anzi, religione e religioso entrano in contrasto.
Nelle società occidentali, che hanno interiorizzato il principio dell´autonomia dell´individuo, la singola persona si crea, in un´indipendenza sempre più ampia, quelle piccole narrazioni di fede – il «Dio tutto suo» – che si adatta alla «propria» vita e al «proprio» orizzonte di esperienza. Questo «Dio tutto suo» non è più il Dio unico che prescrive la salvezza reclamando per sé la storia e autorizzando all´intolleranza e alla violenza. Stiamo assistendo a un ritono dal monoteismo della religione al politeismo del religioso sotto il segno del «Dio tutto nostro»?
Che questa tolleranza sincretistica non solo si diffonda nello spazio della religiosità svincolata da appartenenze confessionali, ma venga praticata con grande naturalezza anche in forme istituzionali, è un fatto che può essere osservato ad esempio in Giappone. Qui le persone non vedono alcun problema nel frequentare in certi periodi dell´anno un tempio shintoista, nel celebrare il matrimonio con una cerimonia cristiana e nell´essere sepolti da un monaco buddista. Il sociologo della religione Peter L. Beger cita il filosofo giapponese Nakamura, che riassume così la questione: «L´Occidente è responsabile di due errori fondamentali. Il primo è il monoteismo –"c´è un solo Dio?" –; l´altro è il principio aristotelico di non contraddizione – "qualcosa è A o non-A?". Qualsiasi persona intelligente in Asia sa che ci sono molti dei e che le cose possono essere sia A che non-A».
Terza tesi. Se le religioni hanno superato frontiere territoriali e nazionali che sembravano invalicabili e hanno poi scavato nuovi abissi tra credenti e non credenti, qual è la novità, allora? Lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione e la vicinanza universale da esse consentita porta al contatto e alla compenetrazione delle religioni mondiali, provocando un clash of universalisms, cioè uno scontro onnipresente delle verità rivelate e una tendenza alla reciproca demonizzazione dei credenti di altre fedi. Qualsiasi persona, credente o non credente, di qualunque orientamento religioso o non religioso, si vede trasferita contemporaneamente nella patria dei credenti (o degli atei) e nella potenziale condizione dei non credenti (agli occhi di chi appartiene a un´altra religione). Questo trasferimento coatto risveglia e alimenta paure diffuse, che caricano di significati religiosi i contrasti e i conflitti politici, facendoli esplodere violentemente.
Clash of universalisms significa che nella vita privata e nei dibattiti pubblici mondiali si impone inevitabilmente un´esigenza di giustificazione e di riflessività, là dove prima predominava la sicurezza circolare in sé stessi. Rifiutare queste esigenze di giustificazione, cioè perseguire con ogni mezzo la riaffermazione dell´indiscutibilità delle certezze di fede divenute problematiche è l´impegno principale dei movimenti fondamentalisti di ogni parte del mondo.
Qui emerge una nuova linea di conflitto, forse destinata in futuro ad acquisire una straordinaria importanza, cioè la linea che separa le correnti religiose che danno spazio al dubbio e anzi vedono in esso una possibilità di salvezza della religione da quelle che, per difendersi dal dubbio, si barricano nella costruita «purezza» della loro fede. Il teologo Friedrich Wilhelm Graf constata che «le religioni rigide offrono molto ai consumatori: un´identità forte e stabile, un´interpretazione del mondo e del tempo resistente alle crisi, strutture familiari ordinate e fitte reti di solidarietà».
Nella lotta contro la «dittatura del relativismo» papa Benedetto XVI difende la gerarchia cattolica della verità, che segue la logica dello skat (gioco di carte tedesco, simile alla briscola, ndt): la fede vince sull´intelletto. La fede cristiana vince su tutte le altre fedi (in particolare sull´Islam). La fede cattolica-romana è il fante di fiori che batte tutti gli altri giocatori di skat della fede cristiana. E il papa è l´asso pigliatutto nel mazzo di carte della verità dell´ortodossia cattolica.
Quarta tesi. Premesso che la speranza del secolarismo (più modernità avrebbe significato meno religione) si è dimostrata sbagliata, la questione di una convivenza civile tra religioni ostili si pone con rinnovata urgenza. Come è possibile un tipo di tolleranza interreligiosa dove l´amore per il prossimo non significhi inimicizia mortale, cioè un tipo di tolleranza il cui fine non sia la verità, ma la pace?
Mahatma Gandhi trasformò la sua esperienza religiosa in politica che cambia il mondo: si tratta di diventare capaci di vedere il mondo, anche il mondo della propria religione, con gli occhi degli altri. Da ragazzo Gandhi era stato in Inghilterra per studiare diritto. Questo soggiorno in uno dei Paesi più importanti dell´Occidente cristiano non lo allontanò dall´induismo, ma anzi glielo fece comprendere meglio e rese più profonda la sua fede. Infatti, fu in Inghilterra che su consiglio di un amico Gandhi iniziò la lettura, per lui illuminante, della Bhagavad Gita – in traduzione inglese. Solo in seguito egli si dedicò allo studio intensivo del testo indù in sanscrito. Dunque, attraverso gli occhi dei suoi amici occidentali era arrivato a scoprire la ricchezza spirituale della propria tradizione indù.
Ovunque si discute e si polemizza con foga sul «problema» dell´Islam nell´Europa «secolarizzata». Al di sotto delle battaglie combattute dai guerrieri religiosi di tutto il mondo per la difesa delle frontiere sta acquistando realtà e importanza l´astuzia del plusvalore cooperativo: i gruppi possono essere intolleranti per quanto riguarda la teologia dell´altro, ma possono comunque collaborare creativamente per realizzare obiettivi pubblici e condivisi. I custodi e i difensori a oltranza dei dogmi teologici potrebbero imparare da questa «ragione della doppia religione».
Oggi la questione decisiva per la sopravvivenza dell´umanità è fino a che punto la verità può essere sostituita dalla pace. Ma la speranza in un amore del prossimo senza inimicizia mortale non è la speranza più inverosimile, ingenua, folle, assurda che si possa concepire?
(Traduzione di Carlo Sandrelli)

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