martedì 26 febbraio 2008

Il «pluralismo» del Vaticano

Il «pluralismo» del Vaticano

Il Manifesto del 26 febbraio 2008, pag. 5

di Mimmo de Cillis

La parola d'ordine è: esserci. Nei sa­cri palazzi vaticani da un lato, e nella chiesa italiana dall'altro, la strategia dettata per la campagna elettorale è perfettamente coincidente: essere presentì, contare e influenzare tutte le formazioni politiche. Fra le due sponde del potere ecclesiastico ro­mano esiste ormai un ponte immagi­nario, o un iperfrequentato canale sotterraneo che collega le stanze vati­cane a quelle di via Aurelia (dove al­berga la Cei). E se in passato erano possibili alcuni distinguo, oggi la pre­senza Oltretevere del segretario di stato Tarcisio Bertone, che ha avoca­to a sé i rapporti con la politica italia­na, ha contribuito non poco a unifi­care le posizioni e creare un'unica, chiara linea politica per la chiesa e i fedeli cattolici.



La prima preoccupazione, condivi­sa dalla vecchia volpe Camillo Ruini, è l'incidenza e la significatività della presenza cattolica nei partiti vecchi e nuovi. Sparita la De, il quadro poli­tico ha fatto sì che i credenti potesse­ro disseminarsi un po' dappertutto. Con un pericolo - sparire - e un'op­portunità: crescere e influenzare dal­l'interno, scalare posizioni, mostrare la «trasversalità» delle battaglie catto-liche, quelle sui temi etici e sui valori cristiani. Insomma, uscire dal ghetto di un unico partito e far emergere un «pluralismo virtuoso» capace di incidere nelle scelte politiche di go­verno e nell'elaborazione legislativa, con il sostegno attivo della chiesa isti­tuzionale e, perché no, degli «atei de­voti» e dei teocon, nuovi figli adottivi beneaccolti nell'ovile.


Nella campagna elettorale 2008 questa strategia è ormai ben delinea­ta, secondo l'ispirazione del «Proget­to culturale della chiesa italiana», il cavallo di battaglia del cardinale Rui­ni, che mirava a un cattolicesimo «vi­vo e vitale» e chiedeva «una maggio­re capacità di proposta e una più concreta incidenza della fede cristia­na nell'Italia di oggi». Ecco allora la difesa della scelta di Casini di conser­vare il simbolo scudocrociato e tute­lare un partito di tradizione cattoli­ca. Ma certo senza scomunicare Berlusconi e il grande contenitore del Pdl. Ecco la presenza dei teodem Binetti e Bobba nel Pd, a capo di una compagine che, sia pur minoritaria, conserva il cattolicesimo sociale nel partito di Veltroni (e la scomunica di Famiglia Cristiana all'apparentamento con i radicali, ritenuti un osta­colo in questo processo). Ecco le simpatie per Ferrara, ma anche il dissen­so verso una lista «tematica» (quella per l'aborto) che, al contrario del di­segno dei cattolici «lievito dei parti­ti», rischia di ghettizzare e circoscri­vere una questione che la chiesa vuo­le resti interesse di tutti. Ecco ritorna­re in auge il richiamo di Benedetto XVI che, a ottobre 2006, parlando a Verona al IV Convegno nazionale della chiesa italiana, esortò i cattolici a non ripiegarsi su se stessi, a mante­nere vivo il loro dinamismo, ad «aprirsi con fiducia a nuovi rappor­ti». L'obiettivo dichiarato è, dunque, tornare a innervare la politica italia­na con la grande tradizione dell'an­tropologia cristiana (piuttosto che rinnovare una pretesa neoguelfa). Pronti a stringere patti, nel cinismo della realpolitik, con qualunque for­za politica si appresti a governare.

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