mercoledì 23 luglio 2008

La vita ci appartiene!

Il dibattito vita/morte, testamento biologico, accanimento terapeutico e eutania diviene ogni giorno sempre più attuale.
Abbiamo sempre pensato che la vita appartenga alle persone, e che ogni persona possa disporre liberamente della sua esistenza. Le religioni monoteistiche, oltre ad aver inventato un dio creatore, follemente sostengono che la vita appartine al loro inventato dio. Noi non siamo dei burattini in loro mano. Per questo motivo, e per seguire il dibattito su a chi appartenga la vita è nato il blo:
http://lavitaciappartiene.blogspot.com
Il blog informerà su quanto viene scritto su questo tema.

lunedì 21 aprile 2008

A Genova denunciato perchè scriveva: «Morte al Papa»

Corriere della Sera 21.4.08
In un piccolo istituto medio di Pieve Ligure. A Genova denunciato il figlio di un ex assessore prc. Scriveva: «Morte al Papa»
Arriva il capo dei vescovi, rivolta a scuola
No a Bagnasco di alcuni genitori e insegnanti. La preside: attività alternative per chi non lo ascolta
di Erika Dellacasa

La protesta accompagnata da un documento scaricato dal sito Internet dell'Unione atei e agnostici razionalisti

GENOVA — L'arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco prepara una visita nella scuola media di Pieve Ligure, un piccolo comune del Golfo Paradiso, e scoppia un caso. La visita in orario di lezione, domani, non è piaciuta ad alcuni genitori (tre dichiarati, altri defilati) che hanno protestato in nome della laicità della scuola pubblica. Richieste di chiarimenti alla preside, Vanda Roveda, una lettera riservata diventata pubblica, una professoressa che solleva obiezioni, in breve tutto il paese ne parla. La lettera arrivata sul tavolo del consiglio di istituto, che ha poi approvato la visita con un solo astenuto, aveva allegato un testo scaricato dal sito dell'Unione atei e agnostici razionalisti. Il testo definisce le visite confessionali nelle scuole: «La legge non consente — scrive la Uaar — che nelle scuole pubbliche statali il normale svolgimento delle lezioni venga modificato per celebrazioni di carattere confessionale ». Gli atei e agnostici consigliano di diffidare la scuola e rivolgersi al Tribunale civile. «Volevamo solo documentare la giurisprudenza in materia — spiega Carla Scarsi, mamma di uno studente — ma soprattutto volevamo chiedere informazioni e ricordare che ci sono regole. Due mesi fa era stata annunciata la proiezione alle elementari di un video sui volontari nelle missioni in Africa. Poi sono venuti in classe dei militari in divisa e hanno proiettato un video con i marines che si paracadutavano ».
Cosa farà a scuola il cardinale Bagnasco? «Non è una visita confessionale — spiega la preside —, non c'è alcun momento di liturgia, niente messe, niente preghiere collettive, è solo un saluto». Ma la situazione ha imposto una nuova organizzazione: «Nessuno è obbligato a partecipare — dice la preside —. I ragazzi che non fanno l'ora di religione avranno a disposizione un'attività alternativa durante la visita. Se qualche professore lo preferisce potrà fare lezione». Quello che la preoccupa, ora, è la scorta di Bagnasco: «Spero che rimangano fuori dalla scuola». Un micro-caso Sapienza? «Ma quale Sapienza — dice don Grilli, vicario del Levante —. Rispetto l'opinione di tutti ma chi contesta è una infinitesima minoranza che non ha capito lo spirito di una visita di cortesia. Non c'è nessuna volontà di ingerenza della Chiesa. Certi atteggiamenti sono frutto di un integralismo laicista. A scuola ci vanno i calciatori e non ci può andare il vescovo? ». Il cardinale Bagnasco ieri era a Roma. «Gli ho spiegato la situazione per telefono — dice don Grilli — e ne ha sorriso con me». Quindi verrà? «Sicuro, sereno come sempre. I problemi sono altri«. Bagnasco è sempre sotto scorta e le misure di sicurezza in attesa della visita del Papa a Genova il 17 maggio sono aumentate. Due giorni fa sono stati denunciati due ragazzi di 17 e 24 anni che scrivevano su un muro «Morte al papa», uno è il figlio di un ex assessore comunale di Rifondazione. Gli Atei e Agnostici preparano uno «sbattezzo » collettivo (la richiesta di essere cancellati dagli elenchi parrocchiali) e manifesti per illustrare «quanto ci costa la Chiesa e questa visita papale». Chi si dichiara esterrefatto per l'arrivo della Digos sono i quaranta curdi riuniti in un ostello a Savona: «Siamo qui per un incontro culturale. Del Papa non sapevamo nulla».

domenica 20 aprile 2008

Ratzinger in America: Bush, Papa e famiglia

Ratzinger in America: Bush, Papa e famiglia

di Matteo Bosco Bortolaso

Il Manifesto del 17/04/2008

Tra il pontefice e il presidente Usa, che lo ha accolto ieri in pompa magna, intesa contro aborto e staminali. Ma non su Iraq, Cuba, e pena di morte

Il presidente degli Stati uniti George W. Bush e Papa Benedetto XVI sono uniti nella lotta alla «dittatura del relativismo» e nella difesa della «vita, il matrimonio e la famiglia». Divisi - anche se con molte sfumature diplomatiche - sui modi di condurre la lotta al terrorismo.
È questo uno dei primi dati politici che emerge dalla visita di Joseph Ratzinger negli Stati uniti. Accogliendo il pontefice alla Casa Bianca, Bush ha dichiarato che gli Usa sono «uno dei Paesi più innovativi, creativi e dinamici sulla terra, ma anche tra i più religiosi». Il presidente ha detto al Papa che gli Usa hanno «bisogno» del suo messaggio di rifiuto della dittatura del relativismo, e accolgono «la cultura della giustizia e della verità». Il pontefice ha ricambiato dicendo di essere venuto negli States «come amico».
Dopo i colloqui privati nell'ufficio ovale, la Santa Sede e l'amministrazione Bush hanno preparato un comunicato congiunto in cui sottolineano l'importanza di alcune tematiche come «la difesa e la promozione della vita, il matrimonio e la famiglia» o «il rifiuto totale del terrorismo, così come della manipolazione della religione per giustificare atti immorali e violenti contro gli innocenti». È interessante leggere un altro passo del comunicato congiunto: durante i colloqui, Bush e Benedetto XVI «si sono soffermati sulla necessità di affrontare il terrorismo con mezzi appropriati che rispettino la persona umana e i suoi diritti». Fuori dal morbido linguaggio della diplomazia, la frase potrebbe alludere a una preoccupazione vaticana per il caso di Abu Ghraib e delle torture inflitte ai membri di al Qaeda, in aperta violazione di quei diritti umani che il pontefice difende e difenderà venerdì, nello storico discorso che pronuncerà alle Nazioni Unite.
Quella del papa tedesco è soltanto la seconda visita di un pontefice alla Casa Bianca: la prima risale a quasi trent'anni fa. Non era mai accaduto che un presidente andasse all'aeroporto ad accogliere il Papa, come ha fatto Bush.
L'incontro dei due leader è stato un momento storico davvero in pompa magna, come di rado si è visto persino nei riguardi delle teste coronate che visitano gli Usa. I lampioni attorno alla residenza presidenziale erano stati addobbati con i colori bianco, rosso e blu della bandiera degli Stati uniti e bianco e giallo del vessillo vaticano. Più di 9 mila persone hanno cantato «happy birthday» al Papa, che compiva 81 anni, prima in maniera spontanea, all'entrata, poi, più formalmente, all'uscita. Boy scout e cavalieri di Colombo hanno riempito le strade di Downtown Washington. Qualche rappresentante della comunità ispanica - che costituisce una fetta importante del cattolicesimo negli Stati uniti - ha gridato «Viva el Papa». Qualcun altro aveva disegnato una torta di cioccolato, con un 81 sopra, su un manifesto. Una torta vera - multipiano - era stata preparata nella sala blu della Casa Bianca. Ieri sera, poi, è stata preparata una cena in onore del pontefice, che però non ha partecipato. La East Room si è comunque riempita di cibo bavarese, in onore del pastore di origini tedesche. Benedetto XVI ha ringraziato i fedeli a stelle e strisce con un vigoroso «God Bless America» a conclusione del suo intervento.
Tutto liscio tra Bush e Benedetto? Ieri, la stampa americana spiegava che i due avevano opinioni simili - e negative - su aborto, matrimonio omosessuale e cellule staminali.
Divergenti, invece, le idee su Iraq, embargo cubano e pena di morte. In effetti però, il comunicato ufficiale, dopo un accenno al Libano, allude solo a una generica e «comune preoccupazione per la situazione in Iraq, in particolare per lo stato precario delle comunità crisitane lì e altrove nella regione».
Un altro argomento atteso in Usa riguardava lo scandalo dei preti pedofili. Già sull'aereo papale, Benedetto XVI aveva detto di «vergognarsi profondamente» per quello che è successo.

mercoledì 16 aprile 2008

Onu la battaglia della Chiesa contro i diritti umani

Onu la battaglia della Chiesa contro i diritti umani

Liberazione del 16 aprile 2008, pag. 12

di Elena Biagini
Ratzinger, sbarcato ieri negli Stati Uniti, parlerà venerdì all'Assemblea generale dell'Onu, e il suo discorso - il quarto pronunciato da un pontefice nel Palazzo di Vetro - verterà, secondo le parole del cardinale Bertone, «sul riconoscimento del ruolo delle Nazioni Unite - e, al contempo - sull'unità e l'indivisibilità dei diritti umani fondamentali, che affondano le loro radici nella natura dell'uomo creato ad immagine di Dio». Ratzinger stesso di recente ha dichiarato: «La Chiesa Cattolica si impegna affinché i diritti dell'uomo siano non solamente proclamati, ma applicati. La Santa Sede non si stancherà di riaffermare tali principi e tali diritti fondati su ciò che è permanente ed essenziale alla persona umana».
Nella realtà storica degli ultimi venti anni, al contrario, è proprio sull'espunzione di ciò che la chiesa cattolica non ritiene evidentemente "essenziale alla persona umana" che si è qualificata l'azione vaticana alle Nazioni Unite, un'azione di forte ostacolo all'applicazione dei diritti umani, in specifico dei diritti di genere.
Sen e Onufer Correa, (Coordinatrici delle Ricerche Dawn su globalizzazione e diritti sessuali e riproduttivi) hanno sottolineato come all'inizio del XXI secolo le femministe che hanno tentato di legare su base globale, nazionale e locale la giustizia di genere alla giustizia economica si sono trovate davanti a due sfide concatenate: da una parte la globalizzazione neoliberista dà luogo a crescenti disuguaglianze di ricchezza e reddito, dall'altra almeno una delle reazioni alla globalizzazione «consiste nel rafforzamento di identità nazionali, religiose, etniche o di altro tipo, attraverso l'affermazione dei ruoli di genere e sistemi d'autorità e controllo "tradizionali"».
Negli anni '90 sono state un terreno fertile per il sorgere di tali tensioni, e quindi teatro di scontro tra femministe e tradizionalisti, le conferenze Onu: da quella di Rio del '92 su Ambiente e sviluppo alla conferenza sull'Habitat tenutasi a Istanbul nel 1996, passando per l'evento in questo senso più significativo, cioè la quarta conferenza sulle Donne (Pechino 1995). In tutti gli incontri è emerso il conflitto Sud-Nord, rispetto al quale l'egemonia politica instaurata dalla montante ideologia neoliberista, imposta da Wto, Fmi e Banca mondiale, ha determinato uno strapotere dei governi del Nord del mondo. In questo clima il fronte conservatore (alcuni stati, tra cui il Vaticano, e numerose Ong, in particolare organizzazioni antiaboriste nordamericane tra cui spicca la cattolica Human Life International) ha lavorato tra i paesi più poveri per ampliare l'opposizione ad un'agenda sui diritti delle donne cercando di qualificarsi come baluardo del Sud del mondo. Il Vaticano fin dal 1992 fa dichiarazioni contro le disuguaglianze Sud-Nord ma alla Conferenza di Vienna sui diritti umani, nel 1993, chiarisce già in modo esplicito che il suo obiettivo prioritario è non far riconoscere i diritti di genere come diritti umani. Il primo vero terreno di scontro è la conferenza su Popolazione e sviluppo (Il Cairo 1994) dove il Vaticano risponde all'allarme sulla "bomba demografica" con la riproposizione di una politica pronatalista, accusa i paesi occidentali di mentire sull'analisi demografica per meglio pianificare la limitazione delle nascite e cerca di mobilitare i paesi del terzo mondo contro quello che Wojtyla definisce «l'imperialismo contraccettivo dei paesi ricchi». Wojtyla lavora per ottenere il consenso dei paesi islamici prima e di alcuni paesi sudamericani poi. Nella risoluzione finale della Conferenza un emendamento sancisce che le raccomandazioni elaborate saranno applicate non solo nel rispetto delle sovranità nazionali, ma anche dei differenti «valori religiosi ed etici». A Il Cairo, quindi, prende corpo la strategia vaticana perseguita in seguito a Pechino e Pechino + 5, (Riesame dello stato dell'opera a 5 anni dalla Conferenza): opporsi all'inserimento tra i diritti umani del diritto alla salute in un'interpretazione che includa anche il diritto a una libera sessualità, alla contraccezione, all'aborto legale quindi sicuro, a una maternità libera. Il teatro più imponente dello scontro è la conferenza mondiale sulle Donne di Pechino dove è grandissima la presenza di gruppi femministi e lesbici (soprattutto nel parallelo Forum delle ong di Huairou) ma anche il dispiegamento del fronte tradizionalista: Vaticano, paesi islamici e gruppi pro-life. L'oggetto polemico dei tradizionalisti è il termine genere ( gender ) che contiene una distinzione tra naturale e biologico - quindi immutabile - e socialmente e culturalmente costruito - quindi modificabile. Si richiede ufficialmente che nei documenti ufficiali usciti dalle conferenze preparatorie il termine gender venga posto tra parentesi in tutti i suoi usi (prospettiva di genere, analisi di genere, ruoli di genere…) per poi metterlo nuovamente in discussione, in quanto la teoria del genere decostruisce la naturalità della ruolizzazione tra donne e uomini. Da questo momento divengono nemiche prioritarie del Vaticano Adrienne Rich e il suo saggio Eterosessualità obbligata e esistenza lesbica , Judith Butler autrice di Scambi di genere , ma anche altre ricercatrici di gender studies ed esponenti del "femminismo di genere" quali Anne Falsto-Sterling, Kate Bornstein, Susan Okin Shulamith Fireston e Nancy Chodorow per le sue analisi sulla costruzione culturale e sociale della divisione del lavoro tra donne e uomini. Wojtyla cerca di mascherare il tenore dell'intervento vaticano a Pechino attraverso la lettera apostolica alle donne (10 luglio 1995) in cui insiste su uguaglianza, dignità e diritti identificando però «il valore della femminilità nel cuore della propria famiglia». Parla anche di violenza e di riconoscimento del ruolo pubblico delle donne ma ribadisce la «protezione di ogni vita umana, a ogni stadio del suo sviluppo e in ogni situazione». Nel frattempo Navarro Valls, membro della delegazione vaticana a Pechino, si oppone al concetto di gender e quanto connesso. In conclusione il fronte tradizionalista ottiene che non venga esplicitata una definizione di gender ma a Pechino esce comunque la Piattaforma d'azione, il testo sulle politiche di genere più rilevante in ambito Onu che contiene l'affermazione della aspirazione a «guardare il mondo con occhi di donna» e la proclamazione che «i diritti delle donne sono diritti umani». Le parole chiave della conferenza, "punto di vista di genere", "empowerment", "mainstreaming", sono entrate negli anni seguenti, seppur con risultati alterni, nel dibattito dei governi. Infatti, dopo Pechino, l'obiettivo del Vaticano diviene cancellare o almeno affievolire l'Agenda di genere.
Fra marzo e luglio del 1999 si tengono tre delle revisioni "+ 5" (bilanci a distanza di 5 anni) delle Conferenze degli anni ‘90 nelle quali spesso si giunge a punti morti. Le ragioni dello stallo sono due: il crescente divario economico fra Sud e Nord e la difficoltà di raggiungere il consenso su temi riguardanti il genere. L'Agenda di Pechino, infatti, esce attenuata, almeno in parte, dal Riesame (New York 2000). In questa occasione le femministe si ritrovano a difendere le conquiste di Pechino. Le forze conservatrici non governative, soprattutto della destra religiosa del Nord America, partecipano in gran numero e lavorano con una manciata di paesi e con il Vaticano. La Dichiarazione politica firmata a 5 anni da Pechino ne riafferma la Piattaforma ma le forze conservatrici hanno indebolito le proposte d'azione che i governi dovrebbero intraprendere per attuarla, aggiungendo nel documento frasi quali «laddove appropriato», o dicendo che le parti dovrebbero «prendere in considerazione» determinate azioni, piuttosto che invitare direttamente all'azione. Il risultato finale è una messa in discussione dell'universalità dei diritti umani visto che i governi possono negarli alle donne in base a fondamenti culturali o nazionali, è di nuovo attenuata l'idea di diritti umani e universalità elaborata a Pechino: «né maschile né falsamente neutra, ma fortemente segnata dalla differenza fra i sessi» (Chiara Ingrao) .
Negli anni che ci separano dal 2000, Bush (che in questi giorni, al tramonto della sua era, riceve Ratzinger) si è qualificato nell'ambito delle Nazioni Unite come uno dei maggiori alleati delle politiche vaticane tanto che i rappresentanti da lui designati all'Onu sono quasi esclusivamente fondamentalisti cristiani. Il fronte composto da Bush, Vaticano e alcuni stati islamici in questi anni è riuscito, ad esempio, a negare la pillola del giorno dopo alle donne del Kosovo che sopravvivono a violenze e l'accesso ai profilattici e all'educazione sessuale nell'Africa devastata dall'Aids.
Infine lo status specialissimo del Vaticano presso le Nazioni Unite rende il dibattito fortemente disequilibrato: il Vaticano, oltre a godere di una forte rappresentanza nel settore delle ong, è presente alle Conferenze anche come Stato e ha dunque una doppia possibilità di intervento. Dal pontificato di Paolo VI, quando arriva all'Onu il primo rappresentante pontificio, pur non essendo uno stato membro, il Vaticano assume lo statuto eccezionale di osservatore permanente che gli permette di partecipare ai dibattiti dell'Organizzazione senza avere il dovere di conformarsi ai programmi dell'Onu e, pur non essendo soggetto ai doveri e agli impegni imposti agli stati membri, gode del diritto di voto. La situazione risulta tanto inammissibile che Catholic for a free choice, «organizzazione del popolo cattolico, non della chiesa», dal 1995 dà l'avvio ad una petizione per la revoca di questo particolare statuto di osservatore di cui gode il Vaticano alle Nazioni Unite, ma dal 2000 si organizza una reazione, per lo più tra i repubblicani di Bush, che porta nel 2004 ad una risoluzione Onu, approvata all'unanimità, con la quale il Vaticano ottiene la conferma ufficiale del proprio status presso le Nazioni Unite e la legittimazione per la chiesa di Roma ad essere riconosciuta di fatto come l'unica religione del consesso delle nazioni.

martedì 15 aprile 2008

"Pillola del giorno dopo, legge violata"

"Pillola del giorno dopo, legge violata"

La Repubblica - ed. Milano del 15 aprile 2008, pag. 9

di Oriana Liso

Leggi aggirate, interpretazioni creative. E una rete di centri convenzionati in cui si pratica una "obiezione di struttura" che si traduce nell'impossibilità, per la donna, di far valere i suoi diritti. Le voci della politica commentano così il viaggio di Repubblica negli ospedali milanesi alla ricerca della pillola del giorno dopo. Una ricerca soddisfatta in diverse strutture, ma solo per un colpo di fortuna, come abbiamo scoperto. Perché il numero di medici obiettori in Lombardia è altissimo: sette su dieci non praticano interruzioni di gravidanza e — in una interpretazione estensiva dei diritti degli obiettori — non prescrivono la pillola del giorno dopo, contestandone la classificazione come farmaco per la contraccezione d'emergenza.



Chi lavora sul campo non si meraviglia dei risultati dell'inchiesta. «Le testimonianze che raccogliamo sono proprio queste e riguardano gli ospedali come i consultori», racconta Eleonora Cirant dell'Osadonna, l'Osservatorio sulla salute riproduttiva. «Qui non si tratta di obiezione di coscienza, ma di ostilità alla contraccezione e di aggiramento della legge», attacca il consigliere regionale del Pd Carlo Porcari, che assicura: «Ci attiveremo su questo tema come su quello dell'interruzione di gravidanza, perché le posizioni ideologiche di chi guida questa Regione non si riflettano nell'applicazione della legge». Sulla stessa linea Arianna Censi, consigliere provinciale del Pd con delega alle politiche di genere: «Credo ci sia un furore moralistico insensato, visto che in molti casi la pillola del giorno dopo viene assunta dalle donne solo in via precauzionale: di questo passo si scatenerà una crociata anche sui preservativi».

Esprime perplessità l'assessore comunale alla Salute Giampaolo Landi di Chiavenna, An, perché «bisogna fare chiarezza sul dato scientifico, bisogna depurare i ragionamenti dalle incrostazioni ideologiche su un tema così delicato, e infine serve coerenza tra disposizioni del Governo e delle singole Regioni: senza una risposta univoca della scienza su meccanismi e effetti di questo farmaco si creano queste situazioni, in cui conta la coscienza personale». Punta invece il dito contro il Pirellone Valerio Federico, segretario dei Radicali di Milano: «Una legge regionale permette ai consultori privati accreditati di non garantire le prestazioni in materia di interruzione di gravidanza e di contraccezione». Sul loro sito (www. lucacoscioni.it) i radicali stanno portando avanti una campagna di informazione: «Spieghiamo come denunciare i medici o gli ospedali dove non viene prescritta la pillola del giorno dopo».

Slalom tra le ipocrisie dei medici obiettori

Slalom tra le ipocrisie dei medici obiettori
La Repubblica del 15 aprile 2008, pag. 50

di Corrado Augias

Caro Augias, voglio raccontarle, sperando che serva, la mia esperienza con la pillola del giorno dopo (che molti confondono con la pillola abortiva). Pur non avendone necessità, ho chiesto al mio medico come si sarebbe comportato se gliel'avessi chiesta e lui, che so "peccatore" e anche sostenitore dell'eutanasia, incredibilmente, con argomentazioni pietose, si è dichiarato obiettore. L'ho informato che lo avrei ricusato e l'ho salutato. Mi sono recata nella mia farmacia di fiducia e ho chiesto quale fosse il loro atteggiamento. Mi hanno confermato che in questo caso non hanno intenzione né possibilità di obiettare, quindi continuerò a spendere i miei soldi da loro.

Oggi ho un nuovo medico, scelto facendo prima la domanda fatidica ("è obiettore?") ed ho nel cassetto la famosa pillola e non sarò costretta, nella necessità, a umilianti peregrinazioni per eser­citare un mio diritto, con il rischio che sedicenti obiettori mi facciano perdere tempo in una situa­zione di emergenza. Consiglio a tutte questa procedura, non ci sono spiegazioni da dare, nessuno può accertarsi se abbiate avuto o meno un rapporto a rischio e avrete l'enorme soddisfazione di aver superato le miserie di questo povero Paese che dice di voler rivendicare la propria identità cristiana, mentre riesce solo a mostrare la propria identità ipocrita. Amalia Castelletto



Risponde Corrado Augias: La pillola Norlevo è stata approvata dall'E­tnea, agenzia europea del farmaco, e as­sunta come contraccettivo dall'agenzia omologa italiana. Le norme dell'Unione Euro­pea escludono quindi che si tratti di un farma­co abortivo. A ulteriore conferma giova ripete­re che, in Francia e altri Paesi europei, la pillola del giorno dopo viene distribuita nelle scuole medie, gratis, dai dispensari scolastici. La logi­ca è che si vuole evitare un guaio peggiore, cioè il possibile ricorso ad un successivo doloroso, drammatico, aborto. Per di più nelle istruzioni per l'uso, approvate dalle autorità sanitarie ita­liane, è scritto chiaramente che la pillola non ha effetto se la fecondazione è già in atto.


Il ministro della salute Livia Turco, consultati gli esperti, ha ribadito che la pillola del giorno dopo è "un contraccettivo d'emergenza" preci­sando anche lei che si tratta di uno strumento di prevenzione all'aborto che aiuta una donna a non sentirsi sola in un momento di sicura dif­ficoltà. Il resto è ideologia, dottrina, soprattut­to incapacità di stabilire nella propria coscien­za (a proposito di coscienza) che la prima cosa da valutare è l'angoscia di una donna che sente di non poter affrontare una gravidanza indesi­derata per ragioni sue e solo sue, che nessuno ha il diritto di indagare. Prima della possibile interruzione di pubblico servizio (ci sarà una sentenza il 5 giugno prossimo) c'è il dovere eti­co del medico di aiutare un essere umano in an­gustie. Lui è lì per quello, il resto sono problemi suoi che non ha il diritto di scaricare sul pa­ziente.

Bibbia e Corano contro Darwin

Corriere della Sera 15.4.08
Inedita alleanza fra insegnanti cristiani e musulmani: da Bruxelles parte un'indagine ministeriale
Bibbia e Corano contro Darwin
In molte scuole del Belgio gli insegnanti boicottano l'evoluzionismo
di Luigi Offeddu

BRUXELLES — Charles Darwin ha un suo angolino nei programmi della scuola pubblica belga come in quelli di altre scuole europee, le sue teorie sull'evoluzione della specie e sull'uomo «parente» dell'orango sono materia di studio per tutti i ragazzi dai sedici anni in su. Ma per alcuni dei loro professori di biologia o scienze naturali sono invece bugie, in contrasto con le loro convinzioni personali, bugie non meritevoli di essere insegnate: credono infatti che non l'orango, ma una divinità onnipotente, sia all'origine dell'avventura umana e di tutta la creazione, e questo insegnano ai loro alunni. Sostengono cioè il creazionismo o al massimo la teoria del «disegno intelligente», in opposizione all'evoluzionismo darwiniano. E alla divinità creatrice danno il nome di Dio, o di Allah: perché sono professori cristiani e professori musulmani, per una volta sostanzialmente d'accordo.
Li accomuna, fra l'altro, anche la reazione delle autorità: dopo le proteste di colleghi e di genitori «laici», che parlano di indebita propaganda clericale, il ministero dell'Istruzione ha deciso di spedire ispettori nelle scuole dove più si discute sulle idee del vecchio Darwin, e sulle pagine della Bibbia o del Corano.
Queste scuole sono almeno una sessantina soltanto nella comunità francofona, e sono le stesse dove ora il ministero ha inviato una delegazione formata da tre ricercatori universitari, per studiare quello che sta accadendo. La stessa comunità francofona — che notoriamente non naviga nel-l'oro, ma è assai meno ricca di quella fiamminga — ha stanziato 138 mila euro per l'indagine, secondo quanto riporta il quotidiano «Le Soir»: un'altra conferma di quanto il problema sia sentito.
A discutere, sono soprattutto giovani insegnanti di biologia, fra i quali alcuni «stagisti» giunti dai paesi del Maghreb nordafricano nel quadro dei programmi di cooperazione internazionale. Sarebbero loro, più di tutti gli altri, che avrebbero sentito come un'imposizione dall'alto il dovere di attenersi ai programmi ufficiali, soprattutto nelle parti che riguardano l'origine del mondo vivente. E per loro, non c'è davvero nulla da fare: per loro ha ragione Adnan Oktar meglio noto come Harun Yahya, Harun il turco, l'autore de «L'Inganno dell'evoluzione », dell'«Atlante della creazione », e di altri duecento libri e libelli che bollano l'evoluzionismo di Darwin come «una filosofia disonesta che ha soggiogato moltitudini di esseri umani».
L'anno scorso, proprio alcuni di questi insegnanti portarono nelle aule l'«Atlante della creazione», come corredo di battaglia contro le contestazioni degli alunni e dei colleghi darwinisti. Ne scaturì un putiferio, che fu poi il prologo di quello attuale: l'allora ministro francofono per il dialogo interculturale, l'oriunda siciliana Marie Arena, diffuse una circolare in cui si ammoniva contro l'uso di quel testo, che non era previsto dai programmi ufficiali. Ma a quanto pare, il verbo di Yahya continua a circolare, adottato in qualche caso anche da professori cristiani. Nato ad Ankara 52 anni fa, fondatore di un'associazione accusata di mescolare «il misticismo con la retorica scientifica», Yahya è un personaggio controverso ma con un certo seguito in vari Paesi. Alla fine degli anni Novanta, distribuì in tutta la Turchia migliaia di volantini e di copie gratuite delle sue opere, incitando a una campagna contro l'evoluzionismo che veniva presentato come una dottrina malvagia, assimilabile al nazismo, al materialismo storico, al comunismo staliniano. Allora come oggi, Yahya trovò ascolto anche in qualche università. Sostiene fra l'altro che «i reperti fossili sono forse la prova più importante per demolire le affermazioni della teoria dell'evoluzione, poiché essi rivelano che le forme di vita sulla Terra non hanno avuto il benché minimo cambiamento e non si sono mai sviluppate l'una dall'altra».
Conclusione: per lo studioso turco c'è un «fatto indiscutibile», ed è quello che «gli esseri viventi non sono venuti alla vita attraverso i processi immaginari dell'evoluzione. Ogni essere vivente mai prima esistito sulla Terra è stato creato da Dio».

sabato 12 aprile 2008

«Via la parola Inferno dalla Bibbia» Il vescovo luterano cambia traduzione

Corriere della Sera 12.4.08
Religioni. Il norvegese Bondevik: spaventosa e banale, scriviamo Geenna
«Via la parola Inferno dalla Bibbia» Il vescovo luterano cambia traduzione
di Luigi Offeddu

BRUXELLES — Uno come Urs von Balthasar, il grande teologo e cardinale, a suo tempo disse che l'inferno esiste, ma è vuoto di anime. Ma c'è anche chi, al luogo fiammeggiante della penitenza eterna, ha deciso senz'altro di cambiar nome: è il caso di Odd Bondevik, vescovo luterano e direttore della Società biblistica norvegese, che nella prossima traduzione della Bibbia abolirà proprio la parola «inferno» per sostituirla con «geenna », dall'ebraico ge-hinnom o «valle di Innom» nei pressi di Gerusalemme, che ha poi lo stesso significato, e con questo significato compare in vari passi del Nuovo e dell'Antico Testamento (ma non così spesso come «inferno»). Motivazione del cambio: «inferno», dicono Bondevik e altri biblisti, «sa di Medioevo» è troppo «spaventoso » e insieme «super-banalizzato», per come è usato in continuazione nel linguaggio quotidiano. Insomma: da un lato, sarebbe un termine che fa venire brividi superati e, dall'altro, si dice ormai «va all'inferno» o «quella serata è stata un inferno», in un tono salottiero che farebbe indignare Dante, e forse delizierebbe Mefistofele, storicamente attento a ogni possibilità di mimetizzazione. «Geenna», valle dove — secondo la tradizione — un tempo si bruciavano cadaveri e rifiuti, avrebbe invece un suono meno sconvolgente, e un senso più preciso.
Molti però, sui giornali e sul Web, contestano la tesi di Bondevik, personaggio di peso anche politicamente (è figlio di un noto deputato e cugino di un ex-primo ministro). La contestano, un po' perché «Gehenna» è già il nome di un complesso musicale «black metal». E un po' perché, anche se i veri praticanti sono molti di meno, l'85% dei norvegesi aderisce alla chiesa luterana ed è sensibile a certi temi, non li percepisce come banali. Secondo un sondaggio fatto pochi mesi fa, il 51,6% della popolazione crede in Dio, e il 40,3% nella resurrezione di Cristo: «ma chi crede in Dio e nel paradiso, crede anche nel diavolo e nell'inferno » sostiene uno dei critici di Bondevik.
La polemica è attizzata anche dal momento politico. Fino a due giorni fa, il luteranesimo era la religione ufficiale di Stato, ma ora i 7 maggiori partiti si sono accordati su una modifica alla Costituzione: parole più vaghe, «i valori di base della nostra nazione risiedono nella nostra tradizione cristiana e umanistica». Anche nella vicina Svezia, Mefistofele fa discutere: il caporedattore di un giornale è stato minacciato di morte per aver pubblicato il manifesto di un concerto punk, dove un diavolo balza fuori dalle fiamme e si beffa con gesti osceni di un uomo crocifisso.

venerdì 11 aprile 2008

L'ordine all'ospedale del cardinale: prescriva la pillola del giorno dopo

L'ordine all'ospedale del cardinale: prescriva la pillola del giorno dopo

Corriere della Sera del 11 aprile 2008, pag. 21

di Erika Dellacasa

«L'ospedale Galliera deve assicurare la prescrizione della pillola del giorno dopo, come tutte le Asl liguri, non ci sono eccezioni », l'assessore alla sanità della Regione Liguria, Claudio Montaldo (Pd), sta scrivendo un nuovo capitolo dei rapporti tra la Regione e l'ospedale presieduto dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei. E' successo che alcune donne abbiano segnalato la difficoltà di ottenere la prescrizione presso il Galliera. L'assessore ha chiesto spiegazioni e ha avuto dal direttore sanitario del nosocomio una risposta che, spiega Montaldo, «in sostanza attribuisce la responsabilità a un infermiere che a chi chiedeva di vedere il medico ha risposto di rivolgersi altrove. E questo perché il medico di turno era obiettore di coscienza e avrebbe rifiutato la pillola». In fondo l'infermiere cercava solo di evitare alla donna una perdita di tempo. Nella schermaglia con l'assessorato, il Galliera ha inviato ieri mattina una lettera in cui spiega di aver aperto «una verifica interna» sull'episodio e di aver rinnovato le disposizioni affinché le donne vengano in ogni caso indirizzate dal medico che «farà le valutazioni necessarie ». In questo gioco di fioretto, però, l'assessore non ci sta a passare da ingenuo: «Ho mandato una lettera al Galliera con cui in sintesi dico che devono garantire la presenza di un medico non obiettore di coscienza in ogni turno. Nella lettera chiedo che il Galliera mi informi su come intende attuare questa direttiva regionale che è valida per tutte le Asl». Al di fuori del linguaggio burocratico con cui sono stilate tutte le comunicazioni fra assessorato e ospedale, il succo è che il Galliera deve organizzarsi per dotare il pronto soccorso di un ginecologo non obiettore che possa prescrivere — sempre salve le valutazioni sanitarie — la pillola del giorno dopo. L'assessore non aspetta un sì o un no, la direttiva impegna il Galliera a dare seguito alle disposizioni della Regione, l'ospedale deve ora informare l'assessorato su «come » intende attuarle. Fino a pochissimo tempo fa il Galliera non aveva ginecologi non obiettori di coscienza, solo ultimamente sono stati assunti due medici non obiettori ma la politica dell'ospedale, il cui consiglio di amministrazione è presieduto dal cardinale Bagnasco e che ha avuto come ex presidenti Tettamanzi e Bertone, è contraria all'interruzione di gravidanza. Non è la prima volta che le linee guida della Curia si scontrano con la politica sanitaria regionale in tema di applicazione della 194 e di fecondazione assistita. La soluzione attuale, per le interruzioni di gravidanza, è di praticarle altrove e con personale di un altro ospedale, l'Evangelico. «Ma il Galliera — dice l'assessore— è convenzionato con il servizio sanitario pubblico e non può di fatto negare la possibilità di prescrizione della pillola del giorno dopo».

«Chiesa, 194, coppie di fatto Non molleremo proprio nulla»

«Chiesa, 194, coppie di fatto Non molleremo proprio nulla»

QN del 11 aprile 2008, pag. 10

di Elena G. Polidori

Non alza neppure il tono della voce Rita Bernardini, segretario dei Radicali. E’ lapidaria nel rispondere alle dichiarazioni, rilasciate due giorni fa al nostro giornale, del ministro dell’Istruzione, Beppe Fioroni, circa i compromessi a cui sarebbero scesi i radicali pur di entrare nel Pd: anni e anni di battaglie intorno all’8 per mille, all’insegnamento della religione cattolica o sulla revisione del concordato gettate alle ortiche, a detta di Fioroni, per un pugno di seggi. Davvero pochi, secondo lui. «Una marea di bugie - chiosa, fredda, la Bernardini - perchè tanto per risbugiardare Fioroni, le dico subito che abbiamo pronto un bel pacchetto di proposte di legge da presentare in Parlamento proprio su quei temi che Fioroni sostiene abbiamo abiurato».

Non si parla, in verità, di abiura: dice Fioroni che sarete talmente in pochi che non riuscirete ad incidere nella politica dei partito, figurarsi il resto...

«Facciamo così: adesso le do una notizia. Riguardo alla forza dei radicali sono d’accordo con la Binetti».

Come? Non vi aveva dato di metastasi?

«Quello dopo. In prima battuta disse che eravamo come le cellule staminali, ovvero che ne bastava una per rigenerare tutti i tessuti. Dopo, quando le spiegarono cosa stava dicendo, allora cambiò la frase e disse metastasi. Io, però, sono d’accordo con la ‘prima’ Binetti. I radicali sono effettivamente come le cellule staminali, anche in pochi sono capaci di rigenerare i tessuti di una politica asfittica che ha bisogno di un partito democratico forte».

Siete comunque riusciti a capire quanti di voi finiranno in parlamento?

«Come ci disse Bettini, sette sono sicuri, altri due nostri sono ‘da combattimento’. Vedremo. Ma non sono i numeri, ovviamente, a fare la sostanza».

La critica di Fioroni era politica, puntava più sulla rinuncia a perseguire alcune battaglie iperlaiciste...

«Guardi che nessuno ha rinunciato a nulla. Anzi, diciamo subito che nel programma del Pd si parla di coppie di fatto, di applicazione della 194, della necessità di fare una serie di riforme per il Paese che l’attuale politica sembra incapace di portare avanti. E non demordiamo dalla volontà di cambiare la legge 40, quella sulla fecondazione assistita. Noi, insomma, non abbiamo rinunciato ad un bel niente. Fioroni dovrebbe informarsi meglio. E, soprattutto, farsene una ragione».

giovedì 10 aprile 2008

Parliamo di sesso, siamo cattolici

Parliamo di sesso, siamo cattolici

Il Manifesto del 10 aprile 2008, pag. 1

di Filippo Gentiloni

Che i vertici cattolici si facciano sentire e si diano da fare in vista delle elezioni non è una novità. È così da sempre: negli anni passati anche con intensità maggiore di quella di oggi. In positivo, bisognava votare Democrazia Cristiana (il partito «a ispirazione cristiana»): in negativo bisognava assolutamente evitare tutto quello che in qualche modo si avvicinava al comunismo, il grande pericoloso avversario. Al limite delle scomuniche. Oggi non è più così. Mancano all'appello sia il partito «a ispirazione cristiana» che il grande avversario. L'autorità ecclesiastica, comunque, non rinuncia a farsi sentire, anche se è costretta a modificare i toni del suo appello. Un appello imbarazzato anche perché si è ristretta quell'area che il mondo cattolico da sempre predilige, anche se non è etichettata come «cattolica»: è scomparso o quasi quel «centro» nel quale il cattolicesimo più ufficiale si riconosce e che gli permette - permetterebbe - di non escludere nessuno. Né destra né sinistra: né escluse né privilegiate o battezzate. È la situazione in cui ci troviamo. Non, quindi, un sì o un no a questo o quel partito, come una volta. Ma, invece, la sottolineatura di alcuni temi, in senso positivo o negativo. Saranno i singoli partiti o gruppi ad accettare o rinnegare le posizioni volute o rifiutate dai vertici cattolici. I quali, comunque, ci tengono ad assicurarsi una presenza vistosa. Il loro maggiore timore è sempre quello di diventare insignificanti nella vita pubblica, riducendosi al privato.



I temi dell'incontro-scontro sono noti e ben chiari. Le dichiarazioni recenti delle autorità cattoliche non fanno che ripeterli, con evidente maggiore impegno man mano che ci si avvicina alle scadenze elettorali: si va dall'aborto all'eutanasia alla pillola del giorno dopo. In primo piano, dunque, la famiglia, il sesso e tutto ciò che lo riguarda. Significativo, perciò, il silenzio cattolico là dove questi temi non fanno parte della campagna elettorale come nelle elezioni comunali.



Significativi anche gli sforzi dei vari gruppi e partiti per accattivarsi voti cattolici, anche a costo di importanti spostamenti nei programmi. In crescendo le genuflessioni, in crisi, un po' dappertutto, la laicità. Tipica, in questo senso, la politica messa in atto da Giuliano Ferrara: logica una certa diffidenza della autorità ecclesiastica. Su questa impostazione parzialmente nuova e sulle reazioni che sta suscitando si possono impostare alcune riflessioni piuttosto importanti, dettate anche dall'esperienza degli anni passati. La prima riflessione riguarda la tipica accentuazione di questi giorni: sembra che l'essenziale del messaggio cristiano riguardi proprio la famiglia e il sesso. Eguaglianza, sincerità, carità, ecc. sembrano in secondo piano. Uno spostamento di accenti che non può non mettere in pericolo la stessa validità del messaggio, messa in crisi proprio dalle sottolineature elettorali. Un travisamento inevitabilmente dannoso per il messaggio stesso.Un'altra domanda si impone. Quale potrà essere il successo di questa impostazione? È inevitabile dubitarne, anche considerando la sconfitta delle posizione cattoliche nelle recenti occasioni di scontro, come furono, pòchi fa, i referendum su divorzio e aborto. La maggioranza degli italiani si dimostrò contraria alle posizioni cattoliche più rigide. Tutto fa pensare che la situazione di oggi non sia diversa e che la maggior parte degli italiani, anche cattolici, non ami le sottolineature etico-sessuali. Per i «palazzi» vaticani era più facile e sicuro, come una volta, indicare i partiti buoni e quelli cattivi. Le insistenze etiche di oggi mettono in pericolo lo stesso messaggio che si vuole trasmettere. D'altronde la posizione dei cattolici nella Spagna di Zapatero conduce ad analoghe conclusioni. Ne constateremo la conferma fra pochi giorni.

mercoledì 9 aprile 2008

Viaggio americano del Papa Religione, politica, aborto E l'insidia dei preti-pedofili

Viaggio americano del Papa Religione, politica, aborto E l'insidia dei preti-pedofili

Liberazione del 9 aprile 2008, pag. 10

di Fulvio Fania
Occhi puntati sul cardinale Francis Bernard Law. Che cosa farà l'arcivescovo emerito di Boston, ora arciprete nella basilica romana di Santa Maria Maggiore? E' quasi da esludere che martedì salga sul volo papale diretto a Washington. Forse lo precederà in modo più discreto? E ci sarà anche lui il 16 aprile tra i diciassette cardinali americani che festeggerranno a pranzo con Ratzinger il suo 81esimo compleanno, poche ore dopo lo storico incontro alla Casa Bianca tra il Papa e Bush? Che cosa mai potrà escogitare il cardinale per trattenersi a Roma proprio mentre Benedetto XVI si reca nel suo Paese? Finora quando è tornato a casa lo ha fatto in modo molto riservato per non suscitare clamori.
Che cosa decida di fare la prossima settimana non è un dettaglio irrilevante per l'opinione pubblica degli States, meno ancora per i cattolici dello Snap, "Survivors network of those abused by priests" e del "Voice of the faithful", le due organizzazioni che difendono le vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti e religiosi. Benché la diocesi di Boston non sia stata l'unica a finire in bancarotta per i risarcimenti finanziari a causa di queste brutte faccende, è appunto il suo ex arcivescovo ad essere diventato il simbolo di quei prelati che hanno coperto i preti corrotti. Dal 2003 al suo posto, a tentare di raddrizzare i rapporti con i fedeli, c'è Patrick O'Malley un vescovo che va in giro vestito da frate, ma nei sei giorni di visita americana papa Ratzinger eviterà Boston. Si limiterà a Washington, per obblighi di protocollo, e a New York dove interverrà al Palazzo di vetro, prima ragione del suo viaggio. Il Papa pregherà anche nel grande cratere-cantiere di Ground Zero.
Ed ecco le tre facce della trasferta americana: un nuovo clima nei rapporti tra la Santa sede e la Casa Bianca dopo le tensioni dell'ultimo Wojtyla e giusto in piena campagna elettorale presidenziale; una chiesa cattolica sempre più ispanica, in crisi per gli scandali ma comunque forte del 24% della popolazione rispetto al 26% degli evangelicals e al 51% complessivo delle varie denominazioni protestanti; infine il discorso all'Onu nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione dei diritti dell'uomo. Ratzinger ha già offerto parecchi indizi sul suo intervento. Certo la pace e il ruolo dell'Onu non mancheranno ma il tema forte sarà la necessità che la Carta internazionale dei diritti corrisponda appieno ai principi innati scritti sulle tavole della legge naturale. Rivolgendosi recentemente alle Ong cattoliche il Papa ha accostato la moratoria sulla pena di morte alla difesa della vita contro l'aborto e l'eutanasia.
Tra le associazioni "caritative" che omaggeranno il pontefice saranno in prima fila Cavalieri di Colombo, ricchi e sempre più influenti in Vaticano. Secondo una loro indagine gli americani dal Papa si attendono, più che discorsi sull'Iraq, illuminazioni di fede e morale. L'America che, pur secolarizzata, ha sempre Dio sulle labbra e stampato sui dollari, torna utile a Ratzinger per ribadire che non si deve estromettere la religione dalla vita pubblica. Robert Reilly (che fu consigliere cattolico di Reagan) suggerisce oggi al candidato repubblicano McCain di fare il Ferrara della situazione, l'oltranzista pro-life, perché il voto cattolico che adesso pende verso i democratici potrebbe rivelarsi decisivo. I vescovi Usa non si pronunciano tra Obama, HiIlary e McCain e non si sa neppure se gli aspiranti alla Casa Bianca troveranno alla fine il modo per farsi vedere agli appuntamenti col Papa.
Grande enfasi avrà invece l'incontro con Bush che prima di congedarsi dal potere vuole mostrare che col pontefice - quello attuale - va d'accordo tanto da aver nominato ambasciatrice presso la Santa sede Mary Ann Glendon, già di famiglia in Vaticano come presidente dell'Accademia pontificia di scienze sociali e consultore di diversi dicasteri.
Benedetto XVI prima di altri viaggi aveva concesso un'intervista a Radiovaticana . Per l'approccio agli States, dove dovrà parlare anche ai seminaristi della famosa "sporcizia" nella chiesa, ha preferito confezionare un videomessaggio in cui appare un po' ingessato, seduto alla scrivania mentre spiega agli americani che lo scopo della visita è l'annuncio religioso di "Cristo nostra speranza", cioè la campagna elettorale non c'entra. Il Papa preannuncia inoltre l'argomento cardine per il Palazzo di vetro: «Il mondo non potrà mai realizzare pace, giustizia e libertà senza obbedire alla legge di Dio», quella legge dell'amore chè è «regola d'oro» «scritta nella coscienza umana» e valida anche per i non credenti.
Ratzinger incontrerà le altre chiese cristiane, i musulmani, i buddisti, gli induisti, i giainisti e gli ebrei. Alla comunità ebraica riserverà un trattamento di riguardo: visiterà anche una sinagoga a New York.

«La vera eredità europea non è cristiana»

Corriere della Sera 9.4.08
Dialogo Il grande intellettuale bulgaro spiega il suo distacco dallo strutturalismo. E risponde alle obiezioni di Cesare Segre sulla funzione della critica
«La vera eredità europea non è cristiana»
Tzvetan Todorov: le nostre radici sono nell'Illuminismo, che significa pluralità di culture
di Paolo Di Stefano

PARIGI — Dalla critica letteraria alla storia della cultura. Dalla letteratura alla filosofia morale, al pensiero politico. E ritorno. L'itinerario di Tzvetan Todorov è solo in apparenza imprevedibile, e chi ha visto nell'ultimo libro dello studioso bulgaro il risultato di una «conversione» semplifica le cose. È vero, è stato uno dei pionieri dello strutturalismo e ora, con La letteratura in pericolo (Garzanti), mette in guardia dall'abuso degli strumenti critici. Ma quarant'anni dopo, Todorov è diventato uno degli intellettuali europei più autorevoli grazie alle sue riflessioni sulla memoria, sui regimi totalitari, sulle ideologie, sull'identità. Un cammino molto lungo da quando, ventiquattrenne, nel '63 lasciò Sofia per stabilirsi a Parigi, accanto ai mostri sacri Barthes e Genette. C'è anche una questione autobiografica dietro la svolta di oggi.
È di questo che Todorov parla, tranquillamente seduto a un tavolino del Café de la Contrescarpe, che guarda su una piazzetta a due passi dal Panthéon: «In Bulgaria era una necessità affrontare gli elementi che sfuggivano all'ideologia: stile, forma narrativa, tecnica compositiva. Ma stando in Francia, è venuto meno il tabù che pesava sulle idee, sulle relazioni tra letteratura e mondo. Dunque a poco a poco ho maturato una coscienza nuova: mi sono reso conto che per avanzare in una migliore comprensione dell'essere umano, che è l'obiettivo delle scienze umane, è necessario mettere in gioco la propria stessa esistenza». Così le pretese scientiste del formalismo, nell'approccio alla letteratura, venivano messe in crisi: «Capii che non potevo più esercitare la mia intelligenza su un oggetto come se mi fosse estraneo: è stata la mia biografia a portarmi verso argomenti come l'altro, l'incontro di culture, le scelte morali imposte all'individuo dal totalitarismo».
Dopo studi memorabili quali I formalisti russi
e La letteratura fantastica, nei primi anni '80 si arriverà a La conquista dell'America. Fino agli studi sull'Illuminismo («il pensiero di un'epoca non abita solo nei libri di filosofia, ma anche nelle opere d'arte: il mio sogno è scrivere una storia dell'Illuminismo attraverso la pittura») e al pamphlet
sull'Europa: «Si parla tanto di eredità cristiana, ma l'Europa ha anche una tradizione greca, romana, ebraica, musulmana, del libero pensiero. Il suo statuto è la pluralità. Il richiamo ai Lumi, che per la prima volta hanno percepito il pluralismo come virtù, mi sembrerebbe più attuale e indispensabile che il richiamo alle origini cristiane: la decisione di accogliere le diversità è un'invenzione esclusiva dei Lumi e certamente non appartiene a nessuna tradizione religiosa. Lungi da me ogni velleità di ignorare la funzione del Cristianesimo nella nostra cultura, ma sul piano politico, come cittadini dobbiamo riconoscere che sono stati i Lumi a svolgere il ruolo decisivo».
Torniamo al problema dell'altro: «Ho vissuto ormai in Francia il doppio del tempo che ho vissuto al mio Paese, ma sono sempre uno straniero. È una condizione che fa parte di me. Alla fine degli Anni 70 andai in Messico, lessi le cronache di viaggio e le relazioni dei conquistadores,
e ne rimasi abbagliato, come se quella gente del XVI secolo mi rivelasse la mia identità di uomo del Novecento ». Una conversione già allora?
Non proprio: «Per interpretare quei documenti provai a servirmi di tutto ciò che avevo imparato nelle analisi letterarie: ne venne fuori una specie di semiotica del comportamento dei conquistatori da una parte e degli indiani dall'altra. Il mio bagaglio strutturalista mi serviva per capire una realtà storica. Ancora oggi cerco di convocare tutti i metodi utili e i tipi di sapere: lo studio delle strutture e dello stile, la storia, l'approccio sociologico, marxista o psicoanalitico. Per questo non penso proprio di aver compiuto una svolta di 180 gradi».
Niente conversione, dunque. Todorov parla di «glissement»: «Nel mio caso si è prodotto uno slittamento durato trent'anni: il metodo è solo uno strumento di conoscenza e non bisogna confonderlo con l'oggetto della conoscenza, che è il senso di un'opera letteraria, e cioè un insieme che risponde a una preoccupazione esistenziale e comprende le forme, gli eventi narrati, le idee, i significati, la morale, la politica, la storia. È questo che deve trasmettere l'insegnamento scolastico». Si tratta di orientarsi più sui contenuti, sul messaggio? «Non parlerei semplicemente di contenuti. A scuola bisogna capire che cos'è la letteratura e che cosa trasmette sul piano esistenziale. Oggi si parla di antropologia, sociologia, psicologia, ma per molto tempo queste scienze non esistevano e il sapere sull'essere umano e sulla società lo si trovava solo nella letteratura. Sarebbe criminale dimenticare tutto questo.
Se Freud aveva l'umiltà di sostenere che i romanzieri erano i suoi maestri, tanto più noi tutti dovremmo riconoscerlo».
E a chi rimprovera a Todorov e ai suoi vecchi compagni di viaggio di essere stati fondamentalisti del metodo, come risponde? «Era il fondamentalismo dei neofiti, l'eccitazione della scoperta, l'entusiasmo nel riproporre vecchi testi dei formalisti Anni Venti. C'era un'effervescenza internazionale che coinvolgeva anche studiosi italiani come Segre, Maria Corti, Eco, Aldo Rossi. Ma certo, alla lunga si continuava a concentrarsi sugli strumenti e sulle forme, e le forme sono solo un modo per far vivere il senso di un'opera ». Come ha scritto Alessandro Piperno sul Corriere, oggi certe formule, come «la morte dell'autore» inventata da Roland Barthes, fanno un po' sorridere. Si può ancora essere d'accordo? «Barthes aveva una personalità che non si riduceva a nessuna delle formule che era capace di inventare. Maneggiava la lingua con straordinaria facilità e prestava la sua eloquenza a ogni tipo di idee. Direi che il vero Barthes non era in questa o in quella formula. Un giorno scriveva La morte dell'autore e il giorno dopo poteva scrivere un libro intitolato Roland Barthes visto da Roland Barthes, da cui si deduceva che l'autore non era affatto morto».
Dimenticato Barthes, quali sono i critici del nostro tempo che puntano diritti verso il senso della letteratura? Todorov si accarezza la nuvola di capelli bianchi e fa non più di due o tre nomi: l'americano Joseph Frank («che studiando Dostoevskij come nessuno aveva fatto prima, unisce diversi ingredienti: contesto sociologico e ideologico, analisi strutturale, biografia»), il francese Paul Bénichou («che si occupava di letteratura da storico delle idee»), lo svizzero Jean Starobinski («un grande commentatore più che un teorico»).
Quella che proprio Todorov non sopporta è la critica che asseconda la voga letteraria, particolarmente francese, del nichilismo: «La critica giornalistica spesso considera la letteratura come un'entità separata dal mondo esterno e la tratta come una pura forma attraverso cui si affermano il nulla, la catastrofe, la fine. Io credo che nessuno possa vivere e scrivere con una visione totalmente nera della vita. Leggo certe critiche in cui si dice: questo autore rivela l'inesistenza assoluta di ogni sentimento umano, la distruzione di tutti i valori... Uno scrittore o un critico finiscono di scrivere queste cose e poi necessariamente tornano alla vita di tutti i giorni: abbracciano il loro amore, si preoccupano dei figli, preparano da mangiare, partono in vacanza, vanno al cinema, eccetera. Insomma, continuano a fare tante cose normali e positive al di là delle loro dichiarazioni di disperazione infinita. Tutto ciò rivela una rottura tra letteratura e mondo. Ora, secondo me si può dire tutto in un romanzo, ma ci si dimentica spesso che c'è una continuità tra letteratura e vita».
Qualche nome. Houellebecq? «È uno dei grandi rappresentanti del nichilismo contemporaneo ». Altri? «Elfriede Jelinek e il classico del genere: Bernhard. Non ha importanza che non mi piacciano. Ricordo solo che anche i testi più disperati di Beckett, attraverso la loro bellezza, la perfezione, la capacità di far ridere, comunicavano comunque una speranza».
Secondo punto dolente della narrativa d'oggi, quella che Todorov chiama «egoletteratura»: «Non so in Italia, ma in Francia ci sono scrittori che per 250 pagine raccontano in ogni dettaglio i propri amori, gli incontri quotidiani, il sesso, le rabbie, i litigi, le separazioni e poi i divorzi. È la cosiddetta autofinzione, una formula lanciata qualche anno fa per dire che si può fare letteratura partendo da fatti strettamente riservati: uno statuto intermedio tra l'autobiografia e la finzione, che produce libri secondo me molto poveri, romanzi che raccontano un mondo a parte, confinato, personale, senza conflitti, senza banlieue, senza immigrati, senza le trasformazioni della mondializzazione. Ma detto questo, io mi astengo dal dare consigli agli scrittori. La letteratura è una cosa troppo seria...».
Un autore che va in un'altra direzione? «Il romanzo americano ha la forte tradizione di parlare del presente, e a me piacciono i romanzi che ti interpellano sui grandi temi che viviamo. Ma se devo fare un nome, mah, penso a un autore spagnolo: Antonio Muñoz Molina. I suoi romanzi in genere fanno riflettere sul nostro tempo, sul mondo, sulla società, sulla violenza, sulle guerre civili. E sono fuochi d'artificio di complessità, di pluralità, di voci, di tempi narrativi e di punti di vista. Sono aperti al mondo e appassionati alla forma ». Piacerebbero anche agli ultimi strutturalisti.

Dopo le sentenze contro la legge 40 molte coppie fanno causa

La Repubblica 9.4.08
Dopo le sentenze contro la legge 40 molte coppie fanno causa
Fecondazione artificiale in arrivo pioggia di ricorsi
di Caterina Paolini

Nel mirino la costituzionalità delle norme sulla procreazione assistita
I viaggi della speranza delle donne italiane: "Siamo tutte fuorilegge"

Sandra, Grazia, Miriam. A decine hanno deciso di dare battaglia in tribunale, tutte assieme. Di raccontare le loro storie di aspiranti madri «tradite dalla legge», di usare il loro dolore e unire le forze perché venga cambiata la norma sulla fecondazione assistita. Una sorta di class action al femminile per convincere chi vive e decide nei palazzi del potere «a non trattarci come cittadini di serie B».
«cioè come cittadini che hanno diritto ad avere figli ma solo malati. Oppure costretti ad emigrare».
Chiedono speranza e giustizia, rispetto della salute e rimborsi per i viaggi all´estero, visto che ogni anno sono più di cinquemila le coppie espatriate nelle capitali europee a fare quello che i medici italiani sanno benissimo fare, ma non possono in base alle linee guida della legge 40. Bocciate dal Tar del Lazio a febbraio, ma mai corrette.
Le singole vittorie ottenute nei mesi scorsi con le sentenze di Cagliari, con il via libera alla diagnosi pre-impianto per una donna talassemica o quella del Lazio che ha bocciato le linee guida della legge, non bastano più. È in arrivo una pioggia di ricorsi: in 50 con i loro compagni presenteranno infatti decine di citazioni nei prossimi giorni. «Il tentativo», spiega l´avvocato Maria Paola Costantini che segue una ventina di casi, «è da una parte quello di farsi autorizzare dal giudice l´accesso alla diagnosi pre-impianto dall´altra quello di sollevare eccezione di incostituzionalità». Arrivando così a cambiare la norma.
Sono donne con la valigia piena di sogni e volontà, emigranti per amore e divieti ad avere deciso di rivolgersi ai tribunali. Per loro, per quelle che verranno. Determinate, nonostante la malattia e i tentativi falliti, a cambiare una legge che, raccontano, le tratta come numeri, ignorando la loro storia, età e salute. Che costringe il loro corpo a bombardamenti ormonali ripetuti «perché non ti consente di produrre più di tre embrioni alla volta e ti impedisce di congelarli, usandoli così in futuro». Decise a cambiare norme che escludono dalle tecniche di riproduzione compagne di strada il cui unico desiderio è che il loro bambino non abbia le malattie di cui sono portatrici sane: talassemia, mutazioni cromosomiche. Che non muoia di fibrosi cistica.
Sandra Sgroi, 34 anni, portatrice sana di talassemia come il marito, è una di loro. In Italia non avrebbe nemmeno potuto sottoporsi alla fecondazione assistita. «È prevista dalla legge solo per le persone sterili mentre io come chi ha altre malattie rare o genetiche, posso avere figli. Sono quindi una cittadina di serie B: autorizzata a partorire bambini con un´altissima probabilità di vederli nascere malati, costretti a trasfusioni due volte al mese dalla culla e un´aspettativa di vita ridotta. Quale genitore vorrebbe un simile strazio per il figlio?», mormora lei che se n´è andata ad Istanbul, spendendo 18 mila euro a furia di tentativi falliti, tra esami, soggiorno e diagnosi pre-impianto, prima di ritrovarsi a contare i giorni che ora la separarono dal parto.
Donne che vogliono giustizia e speranza nei ricorsi presentati da Milano a Roma, da Napoli a Firenze, appoggiandosi ad associazioni come Hera, Madre Cicogna, Lega Italia contro la Fibrosi Cistica, Sos infertilità, che hanno istituito un numero verde (800097999) e che continuano a ricevere chiamate, segnalazioni facendo prevedere una valanga di ricorsi per l´estate. Chiedono in alcuni casi anche il rimborso dei danni psicologici e dei costi materiali per quelle trasferte organizzate per ottenere la diagnosi di pre-impianto, ora legale in Italia da febbraio. «Ma nel nostro Paese purtroppo inutile da fare visto che statisticamente la diagnosi su tre embrioni, numero massimo consentito per legge, non è significativa», spiega il professor Guglielmino tra i massimi esperti e che da anni a Catania si occupa di fertilità e tecniche di riproduzione assistita all´associazione onlus Hera.
Donne che non vogliono sentire parlare di eugenetica, di ricerca della perfezione. «Io non voglio un figlio bello o con gli occhi blu. E nel mio caso non è nemmeno questione di volerlo più o meno sano, ma di vederlo nascere», racconta Grazia, siracusana trentenne, tra quelle che hanno presentato una citazione. «Ho la traslocazione robertsoniana, un´anomalia cromosomica per cui al 75% è destino: non supero il terzo mese di gravidanza. Ogni volta abortisco naturalmente. Sono rimasta incinta quattro volte, quattro volte la speranza di un figlio si è interrotta prima della 12 settimana. Senza la fecondazione artificiale, senza la diagnosi pre-impianto non ho speranza. E tre embrioni, come prescrive la legge non bastano alla diagnosi: la statistiche dicono che c´è n´è uno sano ogni 6. Senza contare che per legge mi impianterebbero anche quello malato, lasciandomi poi la scelta di abortire, dopo. Ma chi ha scritto quelle norme sa cosa significa?». Lei come le altre ha già un biglietto in tasca per l´estero se la legge non cambierà. Ma non rinuncia a lottare in tribunale.

martedì 8 aprile 2008

La lezione di Galileo e il ruolo delle scienze esatte

Corriere della Sera 8.4.08
Una ragione libera che unisce vita, simboli e teoria dei giochi. E così pensiero debole e società liquida diventano opportunità
Dalla caduta dei dogmi nasce il neoilluminismo
La lezione di Galileo e il ruolo delle scienze esatte
di Giulio Giorello

Sul finale della Prima Giornata del Dialogo sopra i massimi sistemi (1632) di Galileo Galilei, uno degli interlocutori (Sagredo) si rivolge agli altri due (l'aristotelico Simplicio e il copernicano Salviati) tessendo l'elogio delle arti — dalla musica che produce «diletto mirabile dell'udito» alla pittura capace di rappresentare gli oggetti tridimensionali su una tela a due dimensioni. «Ma sopra tutte le invenzioni stupende» va lodata l'arte di chi comunica «i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo», anzi parla «con quelli che sono nelle Indie... con quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e diecimila anni»: e tutto solo «con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta». Galileo celebra così linguaggio, scrittura e arte della stampa.
Chissà cosa avrebbe aggiunto se avesse posseduto Internet! Del resto, già nel Saggiatore (1623) aveva dichiarato che il mondo intero altro non era che un grande volume compilato da Dio «in caratteri geometrici». Come dire, studiate matematica e diventerete lettori della scrittura divina, che non coincide necessariamente con la Sacra Scrittura, cioè con la Bibbia, traduzione umana del dettato del Signore.
Queste battute del «maligno pisano» — come Carlo Emilio Gadda con burbero affetto chiamava il grande Galileo — mi sono tornate alla mente quando il mese scorso ho presentato al Festival della Matematica di Roma Allen Knutson, newyorchese di nascita e californiano d'adozione, matematico premiato e plurilaureato, nonché detentore (1990-1995) del record mondiale della International Jugglers Association in quei «giochi di palla» che affascinano «grandi e piccini» sulle pubbliche piazze. Da tempi immemorabili l'arte della «giocoleria » (o all'inglese, juggling) viene praticata con gli oggetti più diversi: sferette, clave, torce, coltelli e persino uova (mezzo quest'ultimo dispendioso e sporchevole se non si è molto bravi!).
Dal 1985 i Sagredo di turno hanno inventato un linguaggio matematico per esprimere l'essenziale di questa «nobile arte». Negli Usa la chiamano Siteswap; in Inghilterra, notazione di Cambridge. L'idea di fondo è che descrivere con il nostro linguaggio quotidiano tutte le tecniche del giocoliere sia compito arduo, se non impossibile: «Dovremmo essere capaci di descrivere la posizione di ogni muscolo del corpo di chi compie l'esercizio, in ciascuna frazione di secondo», dice Allen. Dovremmo essere come l'Ireneo Funes di Borges, in grado di avvertire il rumore di un filo d'erba che cresce! In mancanza di queste doti straordinarie, ci soccorre la matematica.
Il «linguaggio di Cambridge» si limita a indicare la mano che lancia l'oggetto, quella che lo prende, il numero di oggetti lanciati, l'istante del lancio e la cosiddetta durata di volo. Basta combinare opportunamente questi dati non solo per descrivere tutti i «trucchi » del giocoliere, ma per suggerire nuovi e impensati schemi — proprio quelli che fa vedere sul palco Allen, per la gioia di chi è rimasto nel suo cuore ragazzo e per la soddisfazione di chi continua a pensarla come Galileo. Inoltre, applicazioni di questo genere, non diversamente da quelle più tradizionali alle scienze naturali o all'economia, rivelano connessioni insospettate (nel caso di Knutson persino con le particelle e le antiparticelle della fisica).
Non è che l'ennesimo esempio della potenza del simbolico, come sa qualsiasi studente d'algebra. È operando su simboli, poniamo lettere dell'alfabeto — che magari stanno per altri simboli, i numeri di un calcolo aritmetico — che si impara a padroneggiare le più diverse situazioni, mentre se restassimo troppo legati alla natura degli oggetti considerati ci troveremmo in maggiore difficoltà, o magari non ce la caveremmo del tutto. Il fisico e fisiologo Ernst Mach la chiamava «economia di pensiero»; sembra quasi che i segni che tracci su carta o che digiti sullo schermo del computer siano più intelligenti di te, come già constatava Albert Einstein; tanto più che «il simbolo non è un rivestimento meramente accidentale del pensiero, ma il suo organo necessario », come dichiarava il filosofo Ernst Cassirer. Proprio lui doveva dedicare gran parte della sua riflessione al simbolismo come punto di incontro di tutte le forme spirituali più diverse: dall'impresa tecnico-scientifica all'arte, alla religione e al mito.
Ma se le cose stanno così, non potrebbe anche il segno matematico essere contaminato da quell'ambiguità che è così presente in altre «forme simboliche» come le icone della fede o quelle della politica? Leggo nel recente volume di Elio Franzini, dedicato a I simboli e l'invisibile (il Saggiatore), che i simboli sono evidenze storiche e culturali il cui senso non si esaurisce alla prima occhiata, ma «richiedono interpretazioni, sguardi stratificati». Ben più «maligno» di Galileo, il lunatico irlandese George Berkeley insinuava che gli stessi matematici erano «giocolieri» che praticavano trucchi linguistici e psicologici (per esempio, nel calcolo infinitesimale: dove pretendevano di poter utilizzare nei calcoli «quantità più piccole di qualsiasi quantità concepibile»!).
Con il senno di poi, la matematica ha saputo rendere rigorosa la sua attività simbolica, mettendo ordine nell'anarchia dell'invisibile che aveva generato. Ma nella stessa proliferazione di arti, tecniche e scienze dei nostri giorni sembra difficile indicare un principio unitario, un «fondamento», cui ricondurre i molti strati del simbolico. Come constatava agli inizi del Novecento Mach, «il mondo è suddiviso e ritagliato dalle astrazioni, e questi frammenti parziali appaiono così aerei e privi di sostanza da insinuare il dubbio se sia ancora possibile reincollare il mondo». Forse, è qui che va cercata l'origine di un malessere che oggi chiamiamo con molti nomi: modernità «liquida », pensiero debole, paura della scienza, «relativismo», morte dell'arte e angoscia della tecnica. Eppure, è stato l'abbandono del fondamento che ha permesso al pensiero di conquistare orizzonti nuovi e sconfinati. Osserva Franzini che per quel fondamento possiamo provare una qualche forma di nostalgia, ma tale passione alla fine diventa tensione verso il nuovo, «ricerca del senso stesso del percorso, della volontà di costruire forme ». È dallo spregiudicato riconoscimento di questa nostra condizione che può oggi muovere un rinnovato Illuminismo. Dopodiché, come dicevano i personaggi del Dialogo galileiano, finito di discutere come vanno i cieli (o di come si può algebrizzare persino il lancio di clave o palline nella «giocoleria»!), ci si può permettere di «gustar per qualche ora il fresco nella gondola che ci aspetta».

Se i libri bruciano. Dall’antica cina ai nazisti

La Repubblica 8.4.08
Esce "il matematico impenitente" di Piergiorgio Odifreddi
Se i libri bruciano. Dall’antica cina ai nazisti
di Piergiorgio Odifreddi

È l´assolutismo a provocare questa forma di condanna all´inesistenza di qualunque pensiero sgradito ai potenti in ogni parte del mondo
Anche la Chiesa non mancò di condannare alle fiamme le opere sospette di eresia
In Germania gli autori "contrari allo spirito tedesco" vennero sottoposti all´autodafé

Nel saggio La muraglia e i libri, che apre le Altre inquisizioni, Borges ricorda che «l´uomo che ordinò l´edificazione della quasi infinita muraglia cinese fu quel primo imperatore, Shih Huang Ti, che dispose anche che venissero dati alle fiamme tutti i libri scritti prima di lui», e nota che «bruciare libri ed erigere fortificazioni è compito comune dei principi: la sola cosa singolare in Shih Huang Ti fu la scala nella quale operò». Oltre alla maestosa duplicità dell´atto, Borges ne rileva anche l´apparente contraddittorietà: la costruzione della muraglia e la distruzione dei libri tendevano infatti, da un lato, a preservare nello spazio l´integrità territoriale dell´impero, e dall´altro, a cancellarne nel tempo la memoria storica. Si può dunque ipotizzare un loro ordine successivo, che a seconda dei casi mostrerebbe l´immagine di un re placato che cominciò col distruggere e poi si rassegnò a conservare, o quella di un re disingannato che finì per attaccare ciò che prima difendeva.
L´episodio cinese, rievocato anche da Elias Canetti in Autodafé, si situa a metà tra il fatto e la leggenda: possiede dunque entrambe le valenze, letterale e metaforica, che la storia e la letteratura hanno finito per associare all´immagine dei libri in fiamme. I quali, com´è noto, bruciano alla temperatura di Farenheit 451, pari a 233 gradi Celsius, che dà il titolo all´utopia negativa del romanzo di Ray Bradbury e all´omonimo film di François Truffaut.
Il più antico rogo di libri che la storia registri è probabilmente quello della biblioteca di Tebe, ordinato nel 1358 p.E.V. dal faraone Akhenaton, marito di Nefertiti e padre di Tutankhamon. Avendo sostituito il culto dei molti dèi egizi con quello del solo disco solare Aton, il primo monoteista della storia incappò immediatamente negli effetti collaterali più tipici delle fedi uniche: da un lato la persecuzione degli eretici e la distruzione delle loro opere, dall´altro la reazione fondamentalista provocata da ogni azione fondamentalista.
Puntualmente, infatti, alla morte di Akhenaton il clero di Tebe ristabilì il culto di Amon e cancellò a sua volta ogni memoria del riformatore. L´esempio del primo imperatore cinese mostra comunque che i roghi dei libri non sono monopolio del clero: è l´assolutismo a provocarli, e quello religioso non è che una delle sue tante forme.
Ma non bisogna confondere il proposito doloso di cancellare sistematicamente una cultura, con le fiamme appiccate più o meno colposamente durante guerre o rivolte, benché sia spesso difficile determinarne le cause e distinguerne gli effetti. L´unica cosa certa sono le ceneri e le rovine sotto le quali, ad esempio, nel 168 p.E.V., i Seleucidi seppellirono la biblioteca ebraica di Gerusalemme, così come nel 48 p.E.V. Cesare e nel 646 gli Arabi distrussero quella greca di Alessandria, nel 980 Almansor quella dei califfi di Córdoba, nel 1176 Saladino quella sciita del Cairo, nel 1204 i Cristiani quella classica di Costantinopoli, nel 1258 i Mongoli quella sunnita di Baghdad, nel 1560 il vescovo Diego de Landa quella maya dello Yucatán e nel 1691 il vescovo Nunez de la Vega quella maya del Chiapas (tra parentesi, per questo motivo oggi rimangono solo tre libri di questa cultura, uno dei quali è il famoso Popul Vuh). Diverso è il caso dei libri bruciati non alla rinfusa, ma in maniera mirata e per decreto di una suprema autorità censoria, deputata a colpirli uno a uno.
L´esempio più tipico di un tale organismo è naturalmente la Congregazione dell´Indice istituita nel 1571 e attiva fino al 1917, anche se l´Indice dei Libri Proibiti da essa gestito era già stato istituito nel 1559 da Paolo IV e fu abolito solo nel 1966 da Paolo VI. La vittima più famosa fu forse Giordano Bruno, le cui opere furono bruciate in piazza San Pietro il 17 febbraio 1600, nello stesso momento in cui l´autore stesso veniva immolato sul rogo a Campo de´ Fiori. (...)
Naturalmente, la Chiesa non aveva atteso l´Inquisizione per mandare al rogo le opere degli eretici: risalendo nel tempo, ce lo ricordano i processi e le sentenze contro Lutero nel 1520, Abelardo nel 1140 e 1121, Fozio nell´870 e Ario nel 325. Ma in realtà il Cristianesimo era nato infetto, perché il virus del fuoco lo si trova già negli Atti degli Apostoli (XIX, 19): in essi infatti si narra che «molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano alla vista di tutti». Non è dunque un caso che oggi i roghi dei libri e degli uomini si chiamino autodafé, parola che deriva appunto dal portoghese auto de fé e significa «atto di fede».
L´autodafé ufficiale veniva celebrato in pompa magna sulle pubbliche piazze e la cerimonia comprendeva una messa, una processione dei condannati rasati e messi alla gogna, e una lettura delle sentenze: non la tortura, né l´esecuzione, che erano rispettivamente amministrate prima e dopo, in separata sede. A partire dal primo autodafé registrato, nel 1242 a Parigi, queste macabre messe in scena furono eseguite innumerevoli volte e per secoli, in Europa e nelle Americhe: soprattutto in Spagna, tra il 1481 e il 1691. Voltaire le mise alla berlina nel sesto capitolo del Candide, che narra di «come si fece un bell´autodafé per scongiurare i terremoti», con tanto di fustigazione per Candide e di impiccagione per Pangloss: anche se, naturalmente, «lo stesso giorno la terra tremò di nuovo con un fracasso orribile». Ma non fu soltanto la barbara cristianità a bruciare i libri dei suoi eretici: secondo Diogene Laerzio (IX, 52) la stessa sorte toccò anche a Protagora nella raffinata Grecia, nel periodo buio che Atene visse alla fine del quinto secolo p.E.V. (...)
Se così fecero persino i Greci, cosa avremmo potuto aspettarci dai nazisti? Puntualmente, alla mezzanotte del 10 maggio 1933 migliaia di studenti del nascente regime celebrarono l´autodafé dei libri «degenerati», bruciando in varie città universitarie della Germania opere «contrarie allo spirito tedesco»: gli autori comprendevano la triade ebrea di Karl Marx, Sigmund Freud e Albert Einstein, ma spaziavano democraticamente anche fra ariani e stranieri, da Thomas Mann a Marcel Proust. Alla cerimonia sulla piazza dell´Opera di Berlino, il ministro della Propaganda Joseph Goebbels dichiarò soddisfatto: «L´anima del popolo germanico può di nuovo tornare ad esprimersi. Questi roghi non soltanto illuminano la fine di una vecchia era, ma accendono la nuova». Bertolt Brecht, invece, commemorò l´evento nella poesia Il rogo dei libri: «Quando il regime ordinò che fossero arsi in pubblico i libri di contenuto malefico, e per ogni dove i buoi furono costretti a trascinare ai roghi carri di libri, un poeta (uno di quelli al bando, uno dei migliori) scoprì sgomento, studiando l´elenco degli inceneriti, che i suoi libri erano stati dimenticati. Corse al suo scrittoio, alato d´ira, e scrisse ai potenti una lettera: "Bruciatemi", vergò di getto, "bruciatemi! Non fatemi questo torto! Non lasciatemi fuori! Non ho forse sempre testimoniato la verità, nei miei libri? E ora voi mi trattate come fossi un mentitore! Vi comando: bruciatemi!"».
Ma il mondo non imparò la lezione, e anche nel dopoguerra innumerevoli piromani, letterali o metaforici, si sono scatenati contro i libri e le altre opere dell´ingegno: dal tentativo di cancellare sistematicamente il pensiero «revisionista» messo in opera dalla Rivoluzione culturale cinese negli anni ´60, alla sentenza della Cassazione italiana che il 29 gennaio 1976 ordinò che fossero bruciate tutte le copie del film L´ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, alla fatwa dichiarata dall´ayatollah Khomeini il 14 febbraio 1989 contro i Versi satanici di Salman Rushdie, alle cannonate dei Talebani che nel marzo 2001 hanno distrutto le due statue del Buddha di Bamiyan.
L´ultimo rogo di libri è, per ora, quello che il 14 aprile 2003 ha azzerato a Baghdad la Biblioteca Coranica, la Biblioteca Nazionale e l´Archivio Nazionale, sotto l´occhio connivente dell´esercito statunitense invasore, che aveva già permesso il loro saccheggio per un´intera settimana. La città ha così rivissuto i giorni bui del sacco dei Mongoli di 750 anni prima, ma paradossalmente questa coazione a ripetere della storia conferma il giudizio espresso da Borges in Nathaniel Hawthorne, nelle già citate Altre inquisizioni: «Il proposito di abolire il passato fu già formulato nel passato e, paradossalmente, è una delle prove che il passato non può essere abolito. Il passato è indistruttibile: prima o poi tornano tutte le cose, e una delle cose che tornano è il progetto di abolire il passato».

No alla pillola del giorno dopo nuovo caso a Pisa, è scontro

La Repubblica 8.4.08
No alla pillola del giorno dopo nuovo caso a Pisa, è scontro
Arriva Viale: la prescrivo io. L'Ordine: rifiutare si può, aiutare si deve
Il cartello affisso sulla porta della guardia medica: "Qui non facciamo la ricetta"
di Michele Bocci

PISA - Ancora un rifiuto di prescrivere la pillola del giorno dopo, a mezzo cartello fuori dalla porta dell´ambulatorio, ancora la guardia medica di Pisa al centro del ciclone e di un esposto alla procura. In città oggi l´atmosfera sarà ulteriormente riscaldata dall´arrivo da Torino del ginecologo ed esponente radicale Silvio Viale, che, promettono i suoi compagni di partito, dalle 18 prescriverà a tutte le donne che ne faranno richiesta il farmaco anticoncezionale. Intanto sul tema prendono posizione gli Ordini dei medici toscani e il sindacato Fimmg per le guardie mediche. I primi per dire che la libertà di coscienza del medico non si discute ma il professionista non deve abbandonare la donna bensì aiutarla a trovare una soluzione ai suoi problemi, in questo caso indicandole dove può ottenere la prescrizione. Il secondo per affermare che mettere un cartello è superficiale ma che si può capire la riluttanza della guardia medica di fronte ad una estranea, di cui non si conosce la storia clinica, che chieda il farmaco.
"Qui non si prescrive la pillola del giorno dopo". È questo il testo che due giovani pisani, 24 anni lei e 26 lui, hanno trovato sulla porta di uno studio di guardia medica il 2 febbraio scorso. La vicenda è stata resa nota solo ieri dall´associazione radicale LiberaPisa che ha presentato un esposto ipotizzando l´interruzione di pubblico servizio. Il caso è il terzo nella città toscana. Gli altri due, uno alla vigilia di Pasqua e l´altro qualche giorno dopo, sono già oggetto di un´inchiesta della procura e di un´indagine interna della Asl che sta valutando l´operato di due medici e decidendo se avviare nei loro confronti un provvedimento disciplinare. Anche a Firenze, ha denunciato via mail una donna a Repubblica, una guardia avrebbe rifiutato il farmaco nel febbraio scorso.
I due giovani protagonisti dell´episodio denunciato ieri sono associati di LiberaPisa. Hanno detto che, vista l´indisponibilità del medico di guardia, sono andati al reparto di ginecologia del Santa Chiara dove hanno spiegato loro che la ginecologa di turno era un obiettore, invitandoli a rivolgersi al pronto soccorso. «Siamo rimasti lì - racconta la giovane, Mauriana - Solo nel pomeriggio sono stata visitata da un´altra dottoressa, splendida: mi ha fatto un´ecografia da cui si è capito che non avevo bisogno del farmaco e mi ha rimandata a casa».
Per oggi il presidente di LiberaPisa Marco Cecchi annuncia l´arrivo di Silvio Viale che durante un incontro elettorale farà la ricetta per la pillola a chi la richiede. «Le donne se la possono acquistare a scopo preventivo, la ricetta vale un mese - spiega Cecchi - È assurdo che una città universitaria che si proclama di respiro europeo abbia strutture sanitarie che applicano procedure da terzo mondo». Non è d´accordo con l´iniziativa l´assessore toscano alla salute Enrico Rossi. «Non condivido le azioni che alzano i toni su questi temi - dice - Bisogna trovare soluzioni ragionevoli. Il medico che per motivi di coscienza non vuole prescrivere quel farmaco aiuti la donna, che va comunque presa in carico, a trovare un servizio che le assicuri la pillola. Come dice il codice etico dei dottori. E magari chi fa la ricetta inviti quella persona a partecipare ai corsi gratuiti dei consultori su sessualità e prevenzione». Rossi è sulla linea della federazione degli Ordini dei medici toscani, da dove si invitano i professionisti che non vogliono fare la prescrizione a non lasciare comunque sole le donne in un momento difficile.

lunedì 7 aprile 2008

Ferrara, oratore a senso unico

l’Unità 7.4.08
Ferrara, oratore a senso unico
di Luigi Cancrini

La piazza bolognese che lancia sassi e pomodori contro Giuliano Ferrara è stata criticata con forza un po’ da tutti. L’impressione che ho, leggendo, è che le critiche nascondessero, tuttavia, un certo compiacimento. Mi sbaglio? Lei che ne pensa?
Lettera firmata

Il problema fondamentale della politica nelle democrazie moderne è stato correttamente indicato da Chomsky e da Herman e da molti altri come un problema di accesso alla comunicazione di massa. Come ben dimostrato ancora una volta da questa ultima campagna elettorale, il numero delle persone che hanno la possibilità non solo di parlare ma anche di decidere di che cosa si parla, di stabilire l’agenda degli argomenti rilevanti e di definire l’ordine delle possibili soluzioni è estremamente limitato. Osservato da questo punto di vista e al di là del merito, quella che si intravede dietro l’episodio comunque sgradevole di Bologna è una ingiusta (e poco democratica) distribuzione del potere fra un uomo che è a tutti gli effetti un Vip e può per questo motivo utilizzare la sua capacità e la sua non comune possibilità di trovare spazio su tutti i media del Paese (con rubriche e giornali suoi ma con una presenza fra le più invadenti anche sugli altri giornali e nei dibattiti televisivi non diretti da lui) per dare voce ad una sua crisi personale su un tema «eticamente sensibile» e il resto delle persone normali: quelle che non hanno nessuna possibilità di dire la loro sui media e che anche oggi, sulla piazza, sono costrette solo ad ascoltare e impossibilitate, nei fatti, a replicare. Nel silenzio imbarazzato e imbarazzante di quelli che sono, a tutti gli effetti, i due grandi protagonisti della vicenda elettorale impegnati in una corsa al centro che rende difficile trovare argomentazioni su cui si rischia di irritare il Papa e la Curia. Ma nel silenzio imbarazzato e imbarazzante, soprattutto, delle televisioni e dei grandi giornali che pensano di dover rispettare, nel nome di una par condicio che li libera dal dovere di critica, le condizioni di extraterritorialità («lo dice in campagna elettorale, noi dobbiamo solo riferire») delle sciocchezze terroristiche dette da Ferrara su un tema che meriterebbe ben altra capacità di riflessione e di rispetto.
L’aborto è questione che riguarda da vicino la coscienza e la sensibilità di ognuno di noi (e dunque di tutti quelli che si trovavano quel giorno in quella piazza) ed è davvero assurdo e per molti versi fastidioso sentire persone che ne parlano da un palco in modo così apertamente provocatorio: con tanta sicurezza, cioè, e con tanta violenza. Travestito da Gesù nel tempio, Giuliano Ferrara che si scaglia contro l’aborto considerato come il male del mondo non è credibile semplicemente perché la gente non può fare a meno di chiedersi da che pulpito viene quella predica. Solo chi è senza peccato può scagliare la prima pietra e davvero assai goffo è il tentativo fatto da un leader politico improvvisato di presentarsi come campione della moralità pubblica dopo essere stato, per tanti anni, fra i protagonisti più compiacenti e più premiati di un circo mediatico in cui la signora morale (così la chiamava Marx) è abitualmente assai trascurata. Sentirlo insultare (insulti sono purtroppo i suoi, che se ne renda conto o no) le persone che sono costrette (comunque dolorosamente, pagando comunque prezzi personali pesanti) ad affrontare il tema dell’aborto nel concreto della loro vita, vedere come si muovono intorno a questo nuovo tipo di furore (potente e ieratico, megalomanico e inutilmente presuntuoso) le angosce persecutorie di tante persone che stanno male (e che a questo star male cercano sollievo canalizzando impropriamente sugli altri una aggressività legata ai loro sensi di colpa) fa molta pena o più semplicemente una grande rabbia. Impossibilitati come erano nei fatti a contraddire un oratore così arrogante, quelli che non la pensavano come lui, quelli che si sentivano offesi dai suoi modi e dalle sue parole hanno comunicato con lui utilizzando i fischi e i pomodori. Abbassandosi di fatto al livello che era stato loro proposto.
Sono stato invitato una sola volta da Ferrara ad uno dei suoi talk-show. Non ero d’accordo con lui (ce l’aveva quella volta con i giudici e con i genitori di Rignano Flaminio) e lui è stato così villano pubblicamente da sentirsi costretto (nel nome forse dell’amicizia che avevo avuto con suo padre in passato) a chiedermene scusa poi in privato. Mi sono chiesto molte volte da allora il perché di tanta rabbia e di tanta sicurezza. Quello che me ne è rimasto come ricordo è il retrogusto amaro di una situazione in cui chi ha in mano le chiavi per l’accesso ai media pensa di poter condizionare e ricattare chi, facendo politica e non facendo parte del mondo dei Vip, di questo ha (o si pensa che abbia) bisogno.
Siamo di nuovo al punto, caro lettore, Chomsky ha ragione quando dice che oggi lo squilibrio fondamentale non è più solo quello che si determina intorno alla proprietà delle strutture di produzione ma anche e, a tratti, soprattutto quello che si determina intorno alla proprietà e al controllo delle strutture che governano l’informazione. Segnala proprio questo, in fondo, l’episodio di Bologna. Chiamando l’elettore che crede ancora nella politica a porsi nel momento del voto una domanda semplice sul perché l’agenda politica di questa campagna elettorale abbia ruotato sempre intorno ai soldi (da dare o da non togliere con promesse probabilmente irrealizzabili su salari, bonus e pensioni ai cittadini o alle famiglie) e mai o quasi mai intorno alla esigibilità dei diritti negati dalla debolezza sempre più grave dei servizi che si occupano dei bambini e degli anziani, dei pazienti psichiatrici e dei tossicodipendenti, degli immigrati e dei minori che arrivano con loro. Dei diritti di quelli che contano poco, cioè, perché non hanno rappresentanti: in politica, sui giornali e nei talk show televisivi.

Ferrara, oratore a senso unico

l’Unità 7.4.08
Ferrara, oratore a senso unico
di Luigi Cancrini

La piazza bolognese che lancia sassi e pomodori contro Giuliano Ferrara è stata criticata con forza un po’ da tutti. L’impressione che ho, leggendo, è che le critiche nascondessero, tuttavia, un certo compiacimento. Mi sbaglio? Lei che ne pensa?
Lettera firmata

Il problema fondamentale della politica nelle democrazie moderne è stato correttamente indicato da Chomsky e da Herman e da molti altri come un problema di accesso alla comunicazione di massa. Come ben dimostrato ancora una volta da questa ultima campagna elettorale, il numero delle persone che hanno la possibilità non solo di parlare ma anche di decidere di che cosa si parla, di stabilire l’agenda degli argomenti rilevanti e di definire l’ordine delle possibili soluzioni è estremamente limitato. Osservato da questo punto di vista e al di là del merito, quella che si intravede dietro l’episodio comunque sgradevole di Bologna è una ingiusta (e poco democratica) distribuzione del potere fra un uomo che è a tutti gli effetti un Vip e può per questo motivo utilizzare la sua capacità e la sua non comune possibilità di trovare spazio su tutti i media del Paese (con rubriche e giornali suoi ma con una presenza fra le più invadenti anche sugli altri giornali e nei dibattiti televisivi non diretti da lui) per dare voce ad una sua crisi personale su un tema «eticamente sensibile» e il resto delle persone normali: quelle che non hanno nessuna possibilità di dire la loro sui media e che anche oggi, sulla piazza, sono costrette solo ad ascoltare e impossibilitate, nei fatti, a replicare. Nel silenzio imbarazzato e imbarazzante di quelli che sono, a tutti gli effetti, i due grandi protagonisti della vicenda elettorale impegnati in una corsa al centro che rende difficile trovare argomentazioni su cui si rischia di irritare il Papa e la Curia. Ma nel silenzio imbarazzato e imbarazzante, soprattutto, delle televisioni e dei grandi giornali che pensano di dover rispettare, nel nome di una par condicio che li libera dal dovere di critica, le condizioni di extraterritorialità («lo dice in campagna elettorale, noi dobbiamo solo riferire») delle sciocchezze terroristiche dette da Ferrara su un tema che meriterebbe ben altra capacità di riflessione e di rispetto.
L’aborto è questione che riguarda da vicino la coscienza e la sensibilità di ognuno di noi (e dunque di tutti quelli che si trovavano quel giorno in quella piazza) ed è davvero assurdo e per molti versi fastidioso sentire persone che ne parlano da un palco in modo così apertamente provocatorio: con tanta sicurezza, cioè, e con tanta violenza. Travestito da Gesù nel tempio, Giuliano Ferrara che si scaglia contro l’aborto considerato come il male del mondo non è credibile semplicemente perché la gente non può fare a meno di chiedersi da che pulpito viene quella predica. Solo chi è senza peccato può scagliare la prima pietra e davvero assai goffo è il tentativo fatto da un leader politico improvvisato di presentarsi come campione della moralità pubblica dopo essere stato, per tanti anni, fra i protagonisti più compiacenti e più premiati di un circo mediatico in cui la signora morale (così la chiamava Marx) è abitualmente assai trascurata. Sentirlo insultare (insulti sono purtroppo i suoi, che se ne renda conto o no) le persone che sono costrette (comunque dolorosamente, pagando comunque prezzi personali pesanti) ad affrontare il tema dell’aborto nel concreto della loro vita, vedere come si muovono intorno a questo nuovo tipo di furore (potente e ieratico, megalomanico e inutilmente presuntuoso) le angosce persecutorie di tante persone che stanno male (e che a questo star male cercano sollievo canalizzando impropriamente sugli altri una aggressività legata ai loro sensi di colpa) fa molta pena o più semplicemente una grande rabbia. Impossibilitati come erano nei fatti a contraddire un oratore così arrogante, quelli che non la pensavano come lui, quelli che si sentivano offesi dai suoi modi e dalle sue parole hanno comunicato con lui utilizzando i fischi e i pomodori. Abbassandosi di fatto al livello che era stato loro proposto.
Sono stato invitato una sola volta da Ferrara ad uno dei suoi talk-show. Non ero d’accordo con lui (ce l’aveva quella volta con i giudici e con i genitori di Rignano Flaminio) e lui è stato così villano pubblicamente da sentirsi costretto (nel nome forse dell’amicizia che avevo avuto con suo padre in passato) a chiedermene scusa poi in privato. Mi sono chiesto molte volte da allora il perché di tanta rabbia e di tanta sicurezza. Quello che me ne è rimasto come ricordo è il retrogusto amaro di una situazione in cui chi ha in mano le chiavi per l’accesso ai media pensa di poter condizionare e ricattare chi, facendo politica e non facendo parte del mondo dei Vip, di questo ha (o si pensa che abbia) bisogno.
Siamo di nuovo al punto, caro lettore, Chomsky ha ragione quando dice che oggi lo squilibrio fondamentale non è più solo quello che si determina intorno alla proprietà delle strutture di produzione ma anche e, a tratti, soprattutto quello che si determina intorno alla proprietà e al controllo delle strutture che governano l’informazione. Segnala proprio questo, in fondo, l’episodio di Bologna. Chiamando l’elettore che crede ancora nella politica a porsi nel momento del voto una domanda semplice sul perché l’agenda politica di questa campagna elettorale abbia ruotato sempre intorno ai soldi (da dare o da non togliere con promesse probabilmente irrealizzabili su salari, bonus e pensioni ai cittadini o alle famiglie) e mai o quasi mai intorno alla esigibilità dei diritti negati dalla debolezza sempre più grave dei servizi che si occupano dei bambini e degli anziani, dei pazienti psichiatrici e dei tossicodipendenti, degli immigrati e dei minori che arrivano con loro. Dei diritti di quelli che contano poco, cioè, perché non hanno rappresentanti: in politica, sui giornali e nei talk show televisivi.

domenica 6 aprile 2008

Il balletto della pillola. Il giorno dopo: chi la prescrive, chi no, chi fa pagare il ticket

La Repubblica Firenze 6.4.08
Repubblica sperimenta la trafila di una giovane donna a Firenze. Nuovo diniego denunciato a Pisa
Il balletto della pillola. Il giorno dopo: chi la prescrive, chi no, chi fa pagare il ticket
di Simona Poli e Gaia Rau

"Scusi, mi prescrive la pillola?"
Il giorno dopo, tra ospedali e obiettori: attese, ticket, qualche no
A Pisa, dopo i due rifiuti dei giorni scorsi, un altro caso: "Anche a me l´hanno negata"
Abbiamo provato la trafila di una giovane donna: le prime telefonate sono a vuoto

Qualche telefonata a vuoto, male che vada un paio d´ore di attesa e un ticket da pagare. Tutto sommato rimediare la pillola del giorno dopo a Firenze non è un grosso problema. Nemmeno nel fine settimana, quando i consultori sono chiusi e magari il medico di famiglia è irrintracciabile: rimangono infatti pronti soccorso e guardie mediche. Quest´ultima scelta può riservare amare sorprese: non tutti i medici di guardia si dichiarano disponibili a prescrivere il farmaco. Una serie di telefonate rivolte in tono accalorato tra le 12 e le 13,50 di ieri alle sedi degli ambulatori dei cinque quartieri fiorentini danno come risultato un netto 3 a 2: 3 guardie mediche (Via de´ Malcontenti, San Salvi e Isolotto) assicurano che la pillola verrà prescritta («ma prima le faremo qualche domanda nel suo interesse, naturalmente, come di prassi») e 2 (Gavinana-Sorgane-Ricorboli, Badia a Ripoli telefono 0556536899; Novoli-Peretola-Brozzi-Osmannoro telefono 055315225) invitano a cambiare indirizzo. «Sono obiettore - rispondono i medici di turno - e non prescrivo quel tipo di pillola. Ma può rivolgersi al pronto soccorso di Careggi, lì troverà un ginecologo e avrà quello che chiede. E´ sempre più sicuro andare in ospedale». Se il percorso può essere un po´ accidentato, insomma, alla fine una strada si trova. Vediamo come.
Repubblica ha sperimentato la trafila di una giovane donna alle prese con la ricerca del contraccettivo d´emergenza. Abbiamo ipotizzato che il rapporto non protetto sia avvenuto nella notte tra venerdì e sabato. La caccia alla pillola comincia il mattino successivo. Decidiamo di rivolgerci per prima cosa a un consultorio ma trovarne uno aperto nel fine settimana è praticamente impossibile. Su internet c´è un elenco delle otto strutture presenti in città, insieme al numero di un call center per prenotazioni e informazioni. Purtroppo, però, i cellulari non sono abilitati a chiamarlo e non ci resta che provare a contattare i singoli centri, uno per uno. Dopo varie telefonate a vuoto, finalmente qualcuno risponde. E´ il presidio di piazza Dalla Piccola, nel quartiere di San Iacopino. Una volta spiegato il problema il centralinista risponde picche: «Oggi il servizio di ginecologia non è disponibile», taglia corto. Chiediamo dove possiamo rivolgerci ma dopo una rapida ricerca al computer l´esito è ancora una volta negativo: «Nel fine settimana è tutto chiuso, provi al pronto soccorso o alla guardia medica», consiglia.
Decidiamo allora di metterci in viaggio per l´ospedale di Torregalli. Una volta arrivati al pronto soccorso, l´infermiere addetto al triage (la selezione dei casi che si presentano in base all´urgenza) chiede nome e generalità, e ci inserisce in lista d´attesa come codice azzurro. «Non si preoccupi, la chiamiamo noi». Sono le 11,47. Ci sediamo e aspettiamo. Dieci minuti, mezz´ora, un´ora, un´ora e mezzo: arrivano emergenze ben più gravi della nostra che giustamente passano avanti. Alle 13,36, finalmente, l´altoparlante chiama il nostro nome. Una dottoressa ci riceve: è gentile, rassicurante. Fa le necessarie domande sullo stato di salute e alla fine prescrive la pillola, insieme a un farmaco anti-vomito per precauzione. Per ritirare la ricetta dobbiamo pagare il ticket: 25 euro. Il tempo di trovare una farmacia aperta e, poco prima delle 14, abbiamo il nostro farmaco, che costa 11 euro e 20. Siamo in tempo: la pillola va assunta preferibilmente entro 12 ore dal rapporto a rischio, in ogni caso non dopo 72. La trafila è identica al pronto soccorso di Santa Maria Nuova. All´accettazione confermano che il farmaco è disponibile. Bisogna mettersi in lista, pagare il ticket e aspettare ma un medico prescriverà la pillola senza problemi.
C´era una strada più veloce e anche meno costosa. Se avessimo deciso di andare subito alla guardia medica di San Salvi, avremmo aspettato molto meno e non avremmo speso nemmeno un centesimo per la ricetta. A San Salvi ci accoglie una dottoressa che, messa a conoscenza del problema, prescrive il farmaco senza difficoltà. Anche lei è gentilissima, ha toni materni, fa di tutto per metterci a nostro agio. Raccontiamo che durante il rapporto il profilattico si è rotto. Lei annuisce ma consiglia: «Se la storia va avanti, pensi a un altro metodo anticoncezionale, come la pillola». Dopo nemmeno dieci minuti, abbiamo la ricetta in mano. Alla guardia medica di Montedomini il copione si ripete in maniera pressoché identica. Anche lì siamo ricevuti da un medico donna che, dopo aver fatto le domande di rito, compila la ricetta. Tempo di attesa, zero. Costo, zero.
Se Firenze supera la "prova pillola", non altrettanto si può dire di Pisa. Dove proprio ieri è stato segnalato un nuovo caso di rifiuto alla somministrazione da parte di una struttura sanitaria pubblica. Sarebbe il terzo in pochi mesi, dopo i due denunciati da due ragazze che hanno presentato un esposto e su cui indaga la magistratura. La nuova segnalazione è stata raccolta dall´Associazione radicale LiberaPisa, a cui due ragazzi hanno raccontato di un episodio avvenuto a febbraio analogo a quelli avvenuti a marzo. Anche questo sarà oggetto di un esposto che verrà presentato la prossima settimana alla procura di Pisa.