sabato 29 marzo 2008

Eugenetica alla rovescia

l’Unità 29.3.08
Eugenetica alla rovescia
di Sergio Bartolommei

La scelta del Cnb

Il Comitato Nazionale di Bioetica si è espresso, a maggioranza, per l’obbligo dei medici di rianimare feti nati vitali, indipendentemente dal periodo di gestazione e anche contro la volontà dei genitori. La decisione suscita sul piano etico forti perplessità, per almeno due ragioni. La prima riguarda i casi di aborto terapeutico, in cui il medico non può ignorare che la volontà della donna era di interrompere la gravidanza. È vero che la legge fa obbligo di rianimare il feto nato vitale, come si trattasse di una "persona" con diritto alla vita. Ma non si può dire che, perché la tecnica ha abbassato il limite della mera vitalità, sia etico costringere a essere madre di un futuro individuo malformato una donna che, a queste condizioni, madre non intendeva affatto diventare. La tecnica crea qui un nuovo dilemma e compito di un Cnb è riflettere sui dilemmi morali. Prescindere dal consenso della donna con l'appello autoritario alla legge è un modo di risolvere i problemi tagliando i nodi anziché cercare di scioglierli.
La seconda ragione riguarda proprio la previsione di gravi e gravissime malformazioni dei grandi prematuri. Secondo dati recenti, il feto di 22 settimane raramente reagisce alle cure intensive e muore. A 23 settimane si registra una sopravvivenza del 32% circa dei feti, e di questi l’80% presenterà gravi o gravissime disfunzioni neurologiche. Alla 24esima settimana la sopravvivenza passa al 60% con il 40% dei sopravvissuti che avrà danni analoghi. Anche se tali previsioni non possono confidare, come peraltro tutti gli atti medici, sulla certezza assoluta, l’incertezza non giustifica la decisione di rianimare sempre e comunque. L’incertezza, di per sé, giustifica solo riflettere, caso per caso, se ostinarsi a rianimare o optare per cure confortevoli che accompagnino alla morte i neonati fortemente pre-termine. Un’etica che stabilisse il dovere incondizionato di rianimare già a partire da 22 settimane rischierebbe di introdurre una intollerabile forma di eugenetica alla rovescia. In nome di una astratta “cultura della vita” legittimerebbe l’obbligo istituzionale di portare all’esistenza individui che, presentando alti rischi di gravi malformazioni e patologie, conosceranno vite contrassegnate da acuti disagi, dolori e sofferenze.
Il Cnb replica che, a meno che non si accetti di interrompere l’assistenza a tutti i disabili qualunque sia la loro età anagrafica, non è lecito interrompere o non iniziare trattamenti ad alcuni prematuri solo per evitare futuri handicap. Ci pare tuttavia che una decisione non implichi l’altra. Una cosa infatti è impegnarsi a mitigare e correggere i colpi della sorte ai disabili già nati; altra cosa è istituire l’obbligo di portare all'esistenza individui con probabili gravissime disabilità. Questa seconda scelta si avvicina al danneggiare intenzionalmente le persone dando loro il peggiore avvio possibile alla vita.
La “cultura della vita” non è “feticismo della vita” e non può essere la vuota “possibilità di sopravvivenza” dei grandi prematuri, come chiede il Cnb, a fungere da criterio per questo delicato tipo di scelte.

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