lunedì 3 marzo 2008

Il Papa suda? Nessun timore, arriva la censura

Corriere della Sera, 29/06/2003, Paolo Mereghetti

Il Papa suda? Nessun timore, arriva la censura

Al festival del «Cinema ritrovato» di Bologna un’antologia dei tagli imposti ai cinegiornali italiani negli anni Quaranta e Cinquanta

Ma il Papa può sudare? Come uomo evidentemente sì, e infatti durante la canonizzazione di Maria Goretti, la prima celebrata in piazza San Pietro di fronte a 300 mila fedeli accorsi sotto il sole del giugno 1950, Pio XII era costantemente asciugato sulla fronte da un chierico. Ma per il «simbolo» della religione cattolica quella pratica rischiava di sembrare troppo terrena. E allora via, un bel colpo di forbici, e nei filmati che documentano quell’evento fatica, sudore e sventolio di paramenti spariscono. Per il pubblico di tutt’Italia che scopre la cronaca nazionale attraverso i cinegiornali, il pontefice torna ad assumere la sua maestosa sacralità, inattaccabile persino dagli eccessi atmosferici. È una delle tante scoperte che si possono fare al festival del Cinema ritrovato , inaugurato ieri a Bologna (www.cinetecadibologna.it), dove accanto a capolavori restaurati e pellicole salvate dal macero, sarà presentata martedì un’antologia di tagli e censure imposte ai cinegiornali italiani negli anni Quaranta e Cinquanta, curata da Tatti Sanguineti. Il «giacimento» viene dagli archivi dell’Istituto Luce che negli anni ha acquistato e catalogato non solo il materiale proiettato sotto le etichette di vari cinegiornali (dalla Settimana Incom a Caleidoscopio Ciac ), ma anche quello «scartato» e apertamente «censurato», e che quest’anno, guidato dall’amministratore delegato Luciano Sovena, si affaccia per la prima volta a un festival, mettendo a disposizione un nuovo «paio di occhiali» per raccontare la storia e soprattutto il costume del Paese, alle prese con la ricostruzione postbellica e l’arrivo del boom . Il ritratto è duplice, contraddittorio solo in apparenza. Tra il 1945 e il 1955, senza televisione e con il mercato dei cinegiornali praticamente monopolizzato dalla Settimana Incom (di proprietà del senatore democristiano Teresio Guglielmone e diretta da Sandro Pallavicini) la preoccupazione è quella di «non turbare» l’immaginario nazionale. Si gira tutto, ma si monta poco, evitando accuratamente quelle immagini che possano «turbare» lo spettatore. Se si tratta delle manifestazioni per l’attentato a Togliatti ( Settimana Incom del 17 luglio 1948) o di quella per la rinascita del cinema italiano, con De Sica e la Magnani in prima fila (25 febbraio 1949), spariscono i soldati con i mitra spianati o le jeep della Celere che tagliano la folla. Se invece si filma Rachele Mussolini nella sua casa di Forìo, per l’esclusiva delle sue memorie, vengono tagliate le riprese con i ritratti del duce appesi alle pareti. Via anche la scena in cui donna Rachele ravviva un vasetto di fiori davanti a una foto del marito: per qualcuno anche la pietà vedovile rischia di turbare l’ordine pubblico. Poi arriva la «rivoluzione», cioè la televisione che spezza il monopolio dell’informazione visiva e obbliga i cinegiornali a un atteggiamento meno paludato. All’ufficialità ci pensa la Rai, al cinema gli spettatori vogliono respirare altra aria. I costumi cambiano, i cinegiornali anche. Il grande artefice di questa rivoluzione è Gualtiero Jacopetti, giornalista, «spia» per l’Fbi (dal ’45 al ’47), sposo per dovere (una «zingarella» tredicenne lo accusa di averla coinvolta in incontri a tre e lui non può fare altro che sposarla), futuro inventore del filone choc Mondo cane . Nel 1956 l’editore Rizzoli lo assume al cinegiornale Europeo Ciac e i suoi commenti finiscono spesso sotto le forbici della censura. A Bologna, 45 minuti di tagli (anche questi salvati e conservati negli archivi del Luce ) ci riportano agli anni in cui si lottava col comune senso del pudore e la fine del monopolio democristiano. Poteva sfuggire alla censura un cinegiornale che sosteneva che «l’olio non è soltanto un liquido alimento, ma è soprattutto un prezioso lubrificante, efficacissimo per ungere tutte le ruote» mentre sullo sfondo del Colosseo una mano infila in una busta un pacco di «diecimila»? O non irritare nessuno un reportage su Le notti di Cabiria dove si parla della Masina che fa la prostituta come di «Giulietta sprint, la moglie del re della strada»? La risposta è scontata, così come non verranno mai proiettate le immagini girate all’indomani della catastrofe del Vajont, quando i corpi ancora sepolti nel fango parlano di una tragedia davvero apocalittica. Sotto le maglie della censura cadono anche giochi di parole più o meno innocui (come la Asti che non sarebbe lieta di avere le stesse misure di Paolina Bonaparte perché lei «è bona... tutta»), le riprese del film Carabiniere a cavallo con Manfredi (mancanza di rispetto all’Arma?) o il bikini di una ignota stellina (per la cronaca Anna Di Martino). Poi la spregiudicatezza spesso diventa volgarità (ne fanno le spese soprattutto gli omosessuali, irrisi e caricaturati) ma scoprire che persino Coppi massaggiato sul lettino ha attirato le forbici del censore ci fa capire, se non chi eravamo, almeno come eravamo.

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