venerdì 14 marzo 2008

Le nuove clandestine della 194

Le nuove clandestine della 194

Il Riformista del 14 marzo 2008, pag. 1

di Lucetta Scaraffia

Dalle interviste che i giornali attribuiscono alle donne coinvolte nell'inchiesta sugli aborti illegali di Genova - causa del suicidio di Ermanno Rossi, il ginecologo che li praticava - risulta che esse si rivolgevano a lui per abortire privatamente, spesso inconsapevoli di fare una cosa contro la legge. Si comportavano come per i loro normali problemi di salute: rivolgendosi cioè a professionisti privati. In Italia, infatti, le persone che usufruiscono di redditi medio-alti sono solite evitare code, prenotazioni, lunghe attese negli ospedali, scegliendo privatamente specialisti e cliniche. L'aborto è l'unica prestazione medica che per legge deve essere praticata in ospedale, ma la legge ha ormai trent'anni, e molti l'hanno dimenticata. Se possiamo capire le motivazioni che spingevano le donne ad abortire clandestinamente - che vanno dal desiderio di anonimità assoluta (dell'aborto in ospedale, naturalmente, resta traccia burocratica) alla fretta di liberarsi al più presto di quel figlio che sentono crescere dentro di sé anche dopo la decisione di liberarsene - molto più difficile è capire quelle del medico. La cifra richiesta, cinquecento euro, non sembra certo esosa, e rimane un mistero perché un medico obiettore nel suo ospedale non lo sia nell'attività privata.



Un medico, poi, rinomato proprio per la sua capacità nell’affrontare gravidanze difficili e parti pericolosi, cioè nel far nascere bambini. Del resto, tutti concordano nel dire che era un uomo benestante, che non aveva bisogno di denaro.



È una storia piena di misteri: sembra che le interruzioni di gravidanza siano state praticate tutte entro i novanta giorni, quindi nei limiti previsti dalla legge, a differenza dei clamorosi casi catalani, dove l'aborto clandestino era praticato su donne in avanzato stato di gravidanza. È una storia che ci fa capire come l'aborto, dal punto di vista tanto di chi lo subisce quanto di chi lo pratica, sia una ferita misteriosa, una pratica difficile da accettare e da gestire. Anche in presenza di una legge.



Per molte donne, che se lo potevano permettere, la clandestinità significava non affrontare colloqui con medici e psicologi, né formalità burocratiche. Sembra infatti esserci, in questi casi di interventi clandestini, solo il desiderio della donna e la sua pressoché immediata realizzazione. La donna incinta sente per meno tempo i sintomi della gravidanza e non restano tracce dell'intervento: così tutto pare più facile da cancellare, da archiviare e possibilmente dimenticare. Una disperata ricerca dell'oblio assicurato, di un oblio che in realtà non sarà mai raggiunta Le donne lo sanno, ma ci provano lo stesso, in un disperato tentativo di soffrire meno.



La buona fama del ginecologo, poi, le rassicurava. E in effetti era meritata: le intervistate dicono che era gentilis-simo, che non hanno sentito dolore. Una bella differenza con il parto in gabinetto della donna di Napoli, sola e abbandonata anche se ricoverata in ospedale! Una bella differenza con le donne che dopo l'aborto sono messe su un lettino provvisorio nel reparto maternità, dove passano partorienti e neonati portati ad allattare!



Inspiegabile la scelta del medico: si può ipotizzare che l'abbia fatto una prima volta per amicizia, per aiutare una cliente, per un caso particolarmente pietoso, e poi sia rimasto preso nel meccanismo che lui stesso aveva avviato. Si tratta di una vicenda che fa molto riflettere: non tanto sulla legge 194 - che va bene così com'è, almeno da questo punto di vista, anche se torna in mente la richiesta di semplice depenalizzazione dell'aborto, che avrebbe reso questo caso un fatto normale - ma sull'aborto in sé. Sulla pietà che suscita nei confronti della vita che s'interrompe, in primo luogo, ma poi anche nei confronti delle donne che vivono questo dramma: un rapporto inscindibile, un dramma che può portare a scegliere una pericolosa clandestinità anche quando ci sarebbe una via facile, alla luce del sole, solo per tentare di soffrire di meno. Una vicenda che ci fa capire come sia difficile parlare di aborto, come sia difficile giudicare.

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