lunedì 17 marzo 2008

Il Papa tace su Lhasa E parte la polemica

Il Papa tace su Lhasa E parte la polemica
La Stampa del 17 marzo 2008

di Giacomo Galeazzi

All’Angelus Benedetto XVI ha scelto di parlare di Iraq e tacere sul Tibet. Un vibrante appello agli iracheni per porre fine all'odio dopo l'uccisione dell'arcivescovo caldeo Rahho, ma nessun accenno al Tibet. Un silenzio che in un giorno come ieri ha fatto rumore, tanto da costringere la Santa Sede a darne una spiegazione ufficiale. Con argomentazioni che tradiscono un palpabile imbarazzo. Il Papa ha «la responsabilità di partecipare ai dolori dell'umanità», ma «non ha fonti dirette di informazione, non ha un nunzio o una comunità che viva lì da cui avere notizie e chiarimenti per eventuali appelli pubblici», mentre in Iraq «c'è una comunità cristiana, tra l'altro minacciata, e la cui situazione è ben nota e presente al Papa».



Ma anche dentro la chiesa emerge disappunto e qualche polemica viene alla luce. «E’ ridicolo giustificare il mancato appello pubblico con l'assenza di un nunzio e di fonti ecclesiali - afferma il comboniano padre Venanzio Milani, presidente dell'agenzia missionaria Misna -. In Tibet è in atto una strage di persone inermi: Asianews, Misna e le altre agenzie di informazione missionarie lo stanno documentando da giorni. Cattolici o non cattolici, la repressione violenta richiede un intervento papale». In Vaticano ribattono che il Papa ha la «responsabilità di partecipare ai dolori dell'umanità», però l'emergenza Tibet, «è diversa dal caso dell'Iraq».



Fuori dalle mura vaticane le voci critiche si sprecano. Antonio Polito, già senatore della Margherita e oggi direttore del «Riformista», dedica un editoriale all'argomento, mercoledì organizza una manifestazione pro-Tibet con Radio Radicale e stigmatizza l'«errore» di Benedetto XVI. «Wojtyla non avrebbe taciuto - osserva -. Ascoltando il suo appello contro le stragi, le violenze e l'odio, ero certo che parlasse anche della crisi tibetana, invece ha pensato solo ai suoi perché in Iraq ci sono i cattolici». Insomma «per i monaci non ha speso neppure una preghiera nonostante il buddhismo sia una grande fonte di spiritualità con cui la Chiesa aveva avviato il dialogo interreligioso». Secondo i Radicali Benedetto tace per un accordo di potere: «Non infastidisce Pechino in cambio della libertà di gestire la Chiesa in Cina». Dunque, si prega in cinese a piazza San Pietro nella domenica delle Palme, ma il Papa glissa sul Tibet.



Anche i «cattolici adulti» faticano a difendere la scelta del Papa. Pierluigi Castagnetti, vicepresidente della Camera ed esponente dell'area cattolica più illuminata del Pd, usa l'argomento della volontà del Papa di «non mettere sullo stesso piano la questione tibetana e l'espulsione dei cristiani dal Medio Oriente, per troppo tempo trascurata nella Chiesa». Più che un'omissione (cui il «Pontefice porrà rimedio probabilmente nelle celebrazioni della settimana santa»), la necessità di «colmare il tragico deficit di attenzione delle gerarchle ecclesiastiche già denunciato da Dossetti».



Pure Paolo Ferrero del Prc, valdese da sempre attento ai temi del dialogo interreligioso, attribuisce ad un «eccesso di realismo politico» la «non reazione del Papa all'escalation di violenza in Tibet». La «libertà religiosa e i diritti umani», rincara la dose Ferrerò, devono «valere sempre e non basta chiamarsi fuori con la giustificazione che in Tibet non sono cattolici». Tanto più che «questo papato si caratterizza proprio per la pretesa di interferire su chi non è cattolico, come dimostrano le modifiche legislative sull'aborto e l'eutanasia richieste da Benedetto XVI al Parlamento per imporle anche ai non credenti».



Comunque Benedetto XVI non lega necessariamente i propri interventi pubblici alla attualità, seppur drammatica, e spesso dedica gli Angelus o i discorsi nelle udienze generali a temi lontani dalla politica. La diplomazia d'Oltretevere, però, non si muove sui temi più delicati senza un suo input. Se con Wojtyla è capitato che la segreteria di Stato abbia suggerito prese di posizione, è più difficile che ciò accada con Ratzinger. Però, nei prossimi giorni, il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, potrebbe suggerire un intervento papale sul Tibet perseguitato.

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