sabato 29 marzo 2008

La bioetica e il mondo laico - Carta di Firenze, per una medicina senza accanimento

l’Unità 29.3.08
Come avviene in altri Paesi anche in Italia è stato preparato un documento per guidare medici, genitori e giudici nelle situazioni difficili
Carta di Firenze, per una medicina senza accanimento
La bioetica e il mondo laico
di Maria Serenella Pignotti

Il testo è noto anche all’estero e si basa sui dati acquisiti dalla scienza
Abbiamo voluto porre dei limiti all’accanimento proprio come avviene in tutti i Paesi civili

La Carta di Firenze nasce da un lungo lavoro svolto attraverso varie fasi, che ha ricevuto il consenso di molti medici impegnati ogni giorno sul campo. Non è nata in quattro e quattrotto, da pochi ispirati e non si discosta da analoghi documenti pubblicati in tutto il mondo. Non si discosta, soprattutto, dalle raccomandazioni per la rianimazione in sala parto dell’Ilcor, la massima organizzazione internazionale di esperti che suggerisce le cure palliative sotto le 23 settimane, la rianimazione a 25, un’attenta aderenza ai desideri dei genitori nelle due settimane intermedie, le 23 e le 24: la cosiddetta “zona grigia”, zona nella quale l’appropriatezza dell’intervento aggressivo medico è così discutibile e priva di evidenze scientifiche che diventa preponderante il volere dei genitori, sia che essi chiedano o non consentano le cure intensive. Il negare l’indicazione che l’età gestazionale (Eg) offre nella valutazione della prognosi, significa perdere l’unico parametro significativo per la sopravvivenza e quindi sottoporre a cure inutile e dolorose quanti non hanno il biglietto d’ingresso per la vita extrauterina: tutti quei feti/neonati che presenteranno segni di vita alla nascita, ma segni della vita intrauterina che si sta spengendo, non di una possibile vita extrauterina.
Quello della diagnosi differenziale alla nascita è un capitolo della medicina estremamente difficile, non vi è dubbio. È difficile distinguere tra meri segni di vita e segni di vita suscettibili di rianimazione, preludio di una vita extrauterina. Ma farlo costituisce uno dei doveri del medico. I medici non vogliono uccidere bambini, vogliono solo curarli bene, e curarli bene tutti, anche quelli che moriranno. È più semplice rianimare tutti e comparire sui giornali coi bambini del miracolo, pubblicare nuovi dati e sperimentazioni. Molto più difficile è prendersi la responsabilità di giudicare un intervento come inutile e non intraprendere o interrompere un trattamento per cambiare programma verso le cure palliative.
Con la Carta di Firenze abbiamo chiesto aiuto, abbiamo voluto dire alla società la verità, altro dovere di un medico, affinché si smetta di credere nelle favole e nelle bugie e si offrano le cure migliori concretamente possibili. Abbiamo voluto porre dei limiti all’accanimento ed alla sperimentazione, esattamente come hanno fatto tutti i Paesi civili del mondo. Abbiamo voluto difendere i bambini da cure sproporzionate ed abbracciare i genitori di quelli che non ce la faranno, abbiamo voluto difendere i medici da accuse senza senso nei Tribunali. La Carta di Firenze rappresenta anche un esempio di lavoro di gruppo, multidisciplinare, che non ha eguali. E si è già espressa. È già conosciuta, in Italia come all’estero. Essa è basata sui dati acquisiti dalla scienza e dalla sensibilità umana. Le critiche mosse, affidate ad analisi astratte e, soprattutto, saltando a piè pari i genitori - unico Paese al mondo - non aggiungono nulla di nuovo. Per questo la Carta rimane come un documento fondamentale a cui, nelle situazioni di rischio, medici, genitori e giudici potranno ispirarsi, esattamente come all’estero. Per curare una creatura così piccola e così delicata, non ci si può affidare, magari nottetempo al primo medico che capita desideroso di sperimentare terapie mai validate. Ci vuole una medicina basata sull’evidenza, moderna, fatta di conoscenze, dati supportati dalla ricerca internazionale, una medicina basata sui fondamentali principi di etica medica che vogliono per tutti cure appropriate e non sfarfallii di speranze senza senso, fonte di dolore per il bambino e per la sua famiglia.

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