Marino: su eutanasia e testamento biologico
Avvenire del 3 aprile 2008, pag. 35
di Ignazio Marino
Caro Direttore, ho letto con amarezza l’articolo di Giovanni Lazzaretti (in realtà si tratta del contributo di un lettore, ndr), in cui l’autore si riferisce al mio progetto di legge sul testamento biologico definendolo davvero a torto 'eutanasico'. Chi ha letto, anche distrattamente, la mia proposta e conosce le mie convinzioni in merito sa che non vi è alcun legame, neanche remoto, con l’eutanasia. Personalmente sono sempre stato contrario all’eutanasia. Professionalmente ho sempre creduto che la missione della medicina sia quella di sostenere in ogni caso la vita e alleviare la sofferenza, mai procurare la morte. Molti ricorderanno che nel maggio del 2000 mi sono rifiutato di eseguire un intervento chirurgico che avrebbe diviso due gemelline siamesi sacrificandone una in favore dell’altra. Erano due persone distinte, in grado di riconoscere la madre, unite da un solo cuore e da un solo fegato. Mi parve allora inaccettabile poter sopprimere una vita a vantaggio di un’altra, e non ho cambiato idea. Tornando al testamento biologico, sento di avere il diritto e il dovere di replicare per spiegare ancora una volta la natura della mia proposta. Il testamento biologico è un documento con cui ognuno di noi può indicare quale tipo di cure ritiene accettabili e proporzionate per se stesso, nel caso in cui si trovi nella impossibilità di esprimere la propria volontà. La tecnologia consente oggi di prolungare oltre l’umana tollerabilità condizioni di agonia e non reversibili come lo stato vegetativo permanente, senza offrire alcuna speranza di recupero dell’integrità intellettiva del paziente. È allora che dobbiamo chiederci se l’utilizzo di tutta la tecnologia disponibile sia sempre auspicabile. C’è un punto oltre il quale non si può far altro che accettare il naturale sopraggiungere della fine della vita. Lo spiega con parole chiarissime lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica, dove si legge che «non si vuole così procurare la morte, si accetta di non poterla impedire ». Per questo credo sia giusto lasciare ad ognuno la possibilità di esprimere la propria volontà in un documento. Troppe volte, da medico, ho assistito al dolore di familiari in difficoltà che ripetevano: «se almeno mi avesse detto cosa avrebbe deciso»; «se ne avessimo parlato almeno una volta». Già oggi è riconosciuto il diritto di prestare o rifiutare il proprio consenso ad un trattamento sanitario. Un diritto che ogni giorno trova applicazione concreta attraverso il meccanismo del consenso informato, in virtù del quale nessuno può essere sottoposto ad un intervento o ad un esame diagnostico senza aver dato il proprio assenso. Il testamento biologico, facoltativo e non obbligatorio, può costituire lo strumento per estendere nel tempo l’esercizio di questo diritto al momento in cui ci si trovi nella impossibilità di esprimere la propria volontà. Ritengo che sia utile e necessario offrire l’opportunità, a quanti lo vogliano, di scegliere le terapie che si ritengono accettabili. In questo modo ognuno di noi potrebbe pronunciarsi in piena libertà e consapevolezza, ed esercitare in autonomia la libera scelta delle cure come indicato dalla Costituzione. Questi, e non altri, sono i termini della mia proposta. È evidente a chi legge e voglia comprendere che non vi è nulla che richiami neanche lentamente l’eutanasia. Inoltre, nella stagione finale della vita e nelle malattie terminali, io sono convinto che debba essere moltiplicata la disponibilità delle cure palliative e delle terapie del dolore necessarie ad affrontare la sofferenza. Nessun malato, nemmeno nel caso più grave e disperato, può mai essere lasciato solo. Mi hanno dunque stupito le parole usate sul suo giornale da chi, o non conosce le mie proposte e il mio pensiero o, se li conosce, li fraintende profondamente. E non so dire, sinceramente, se si tratti di un autentico equivoco o del tentativo di orientare il lettore verso una tesi ben definita.
NOTE
chirurgo, presidente Comm. Sanità del Senato
Avvenire del 3 aprile 2008, pag. 35
di Ignazio Marino
Caro Direttore, ho letto con amarezza l’articolo di Giovanni Lazzaretti (in realtà si tratta del contributo di un lettore, ndr), in cui l’autore si riferisce al mio progetto di legge sul testamento biologico definendolo davvero a torto 'eutanasico'. Chi ha letto, anche distrattamente, la mia proposta e conosce le mie convinzioni in merito sa che non vi è alcun legame, neanche remoto, con l’eutanasia. Personalmente sono sempre stato contrario all’eutanasia. Professionalmente ho sempre creduto che la missione della medicina sia quella di sostenere in ogni caso la vita e alleviare la sofferenza, mai procurare la morte. Molti ricorderanno che nel maggio del 2000 mi sono rifiutato di eseguire un intervento chirurgico che avrebbe diviso due gemelline siamesi sacrificandone una in favore dell’altra. Erano due persone distinte, in grado di riconoscere la madre, unite da un solo cuore e da un solo fegato. Mi parve allora inaccettabile poter sopprimere una vita a vantaggio di un’altra, e non ho cambiato idea. Tornando al testamento biologico, sento di avere il diritto e il dovere di replicare per spiegare ancora una volta la natura della mia proposta. Il testamento biologico è un documento con cui ognuno di noi può indicare quale tipo di cure ritiene accettabili e proporzionate per se stesso, nel caso in cui si trovi nella impossibilità di esprimere la propria volontà. La tecnologia consente oggi di prolungare oltre l’umana tollerabilità condizioni di agonia e non reversibili come lo stato vegetativo permanente, senza offrire alcuna speranza di recupero dell’integrità intellettiva del paziente. È allora che dobbiamo chiederci se l’utilizzo di tutta la tecnologia disponibile sia sempre auspicabile. C’è un punto oltre il quale non si può far altro che accettare il naturale sopraggiungere della fine della vita. Lo spiega con parole chiarissime lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica, dove si legge che «non si vuole così procurare la morte, si accetta di non poterla impedire ». Per questo credo sia giusto lasciare ad ognuno la possibilità di esprimere la propria volontà in un documento. Troppe volte, da medico, ho assistito al dolore di familiari in difficoltà che ripetevano: «se almeno mi avesse detto cosa avrebbe deciso»; «se ne avessimo parlato almeno una volta». Già oggi è riconosciuto il diritto di prestare o rifiutare il proprio consenso ad un trattamento sanitario. Un diritto che ogni giorno trova applicazione concreta attraverso il meccanismo del consenso informato, in virtù del quale nessuno può essere sottoposto ad un intervento o ad un esame diagnostico senza aver dato il proprio assenso. Il testamento biologico, facoltativo e non obbligatorio, può costituire lo strumento per estendere nel tempo l’esercizio di questo diritto al momento in cui ci si trovi nella impossibilità di esprimere la propria volontà. Ritengo che sia utile e necessario offrire l’opportunità, a quanti lo vogliano, di scegliere le terapie che si ritengono accettabili. In questo modo ognuno di noi potrebbe pronunciarsi in piena libertà e consapevolezza, ed esercitare in autonomia la libera scelta delle cure come indicato dalla Costituzione. Questi, e non altri, sono i termini della mia proposta. È evidente a chi legge e voglia comprendere che non vi è nulla che richiami neanche lentamente l’eutanasia. Inoltre, nella stagione finale della vita e nelle malattie terminali, io sono convinto che debba essere moltiplicata la disponibilità delle cure palliative e delle terapie del dolore necessarie ad affrontare la sofferenza. Nessun malato, nemmeno nel caso più grave e disperato, può mai essere lasciato solo. Mi hanno dunque stupito le parole usate sul suo giornale da chi, o non conosce le mie proposte e il mio pensiero o, se li conosce, li fraintende profondamente. E non so dire, sinceramente, se si tratti di un autentico equivoco o del tentativo di orientare il lettore verso una tesi ben definita.
NOTE
chirurgo, presidente Comm. Sanità del Senato
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