lunedì 7 aprile 2008

Ferrara, oratore a senso unico

l’Unità 7.4.08
Ferrara, oratore a senso unico
di Luigi Cancrini

La piazza bolognese che lancia sassi e pomodori contro Giuliano Ferrara è stata criticata con forza un po’ da tutti. L’impressione che ho, leggendo, è che le critiche nascondessero, tuttavia, un certo compiacimento. Mi sbaglio? Lei che ne pensa?
Lettera firmata

Il problema fondamentale della politica nelle democrazie moderne è stato correttamente indicato da Chomsky e da Herman e da molti altri come un problema di accesso alla comunicazione di massa. Come ben dimostrato ancora una volta da questa ultima campagna elettorale, il numero delle persone che hanno la possibilità non solo di parlare ma anche di decidere di che cosa si parla, di stabilire l’agenda degli argomenti rilevanti e di definire l’ordine delle possibili soluzioni è estremamente limitato. Osservato da questo punto di vista e al di là del merito, quella che si intravede dietro l’episodio comunque sgradevole di Bologna è una ingiusta (e poco democratica) distribuzione del potere fra un uomo che è a tutti gli effetti un Vip e può per questo motivo utilizzare la sua capacità e la sua non comune possibilità di trovare spazio su tutti i media del Paese (con rubriche e giornali suoi ma con una presenza fra le più invadenti anche sugli altri giornali e nei dibattiti televisivi non diretti da lui) per dare voce ad una sua crisi personale su un tema «eticamente sensibile» e il resto delle persone normali: quelle che non hanno nessuna possibilità di dire la loro sui media e che anche oggi, sulla piazza, sono costrette solo ad ascoltare e impossibilitate, nei fatti, a replicare. Nel silenzio imbarazzato e imbarazzante di quelli che sono, a tutti gli effetti, i due grandi protagonisti della vicenda elettorale impegnati in una corsa al centro che rende difficile trovare argomentazioni su cui si rischia di irritare il Papa e la Curia. Ma nel silenzio imbarazzato e imbarazzante, soprattutto, delle televisioni e dei grandi giornali che pensano di dover rispettare, nel nome di una par condicio che li libera dal dovere di critica, le condizioni di extraterritorialità («lo dice in campagna elettorale, noi dobbiamo solo riferire») delle sciocchezze terroristiche dette da Ferrara su un tema che meriterebbe ben altra capacità di riflessione e di rispetto.
L’aborto è questione che riguarda da vicino la coscienza e la sensibilità di ognuno di noi (e dunque di tutti quelli che si trovavano quel giorno in quella piazza) ed è davvero assurdo e per molti versi fastidioso sentire persone che ne parlano da un palco in modo così apertamente provocatorio: con tanta sicurezza, cioè, e con tanta violenza. Travestito da Gesù nel tempio, Giuliano Ferrara che si scaglia contro l’aborto considerato come il male del mondo non è credibile semplicemente perché la gente non può fare a meno di chiedersi da che pulpito viene quella predica. Solo chi è senza peccato può scagliare la prima pietra e davvero assai goffo è il tentativo fatto da un leader politico improvvisato di presentarsi come campione della moralità pubblica dopo essere stato, per tanti anni, fra i protagonisti più compiacenti e più premiati di un circo mediatico in cui la signora morale (così la chiamava Marx) è abitualmente assai trascurata. Sentirlo insultare (insulti sono purtroppo i suoi, che se ne renda conto o no) le persone che sono costrette (comunque dolorosamente, pagando comunque prezzi personali pesanti) ad affrontare il tema dell’aborto nel concreto della loro vita, vedere come si muovono intorno a questo nuovo tipo di furore (potente e ieratico, megalomanico e inutilmente presuntuoso) le angosce persecutorie di tante persone che stanno male (e che a questo star male cercano sollievo canalizzando impropriamente sugli altri una aggressività legata ai loro sensi di colpa) fa molta pena o più semplicemente una grande rabbia. Impossibilitati come erano nei fatti a contraddire un oratore così arrogante, quelli che non la pensavano come lui, quelli che si sentivano offesi dai suoi modi e dalle sue parole hanno comunicato con lui utilizzando i fischi e i pomodori. Abbassandosi di fatto al livello che era stato loro proposto.
Sono stato invitato una sola volta da Ferrara ad uno dei suoi talk-show. Non ero d’accordo con lui (ce l’aveva quella volta con i giudici e con i genitori di Rignano Flaminio) e lui è stato così villano pubblicamente da sentirsi costretto (nel nome forse dell’amicizia che avevo avuto con suo padre in passato) a chiedermene scusa poi in privato. Mi sono chiesto molte volte da allora il perché di tanta rabbia e di tanta sicurezza. Quello che me ne è rimasto come ricordo è il retrogusto amaro di una situazione in cui chi ha in mano le chiavi per l’accesso ai media pensa di poter condizionare e ricattare chi, facendo politica e non facendo parte del mondo dei Vip, di questo ha (o si pensa che abbia) bisogno.
Siamo di nuovo al punto, caro lettore, Chomsky ha ragione quando dice che oggi lo squilibrio fondamentale non è più solo quello che si determina intorno alla proprietà delle strutture di produzione ma anche e, a tratti, soprattutto quello che si determina intorno alla proprietà e al controllo delle strutture che governano l’informazione. Segnala proprio questo, in fondo, l’episodio di Bologna. Chiamando l’elettore che crede ancora nella politica a porsi nel momento del voto una domanda semplice sul perché l’agenda politica di questa campagna elettorale abbia ruotato sempre intorno ai soldi (da dare o da non togliere con promesse probabilmente irrealizzabili su salari, bonus e pensioni ai cittadini o alle famiglie) e mai o quasi mai intorno alla esigibilità dei diritti negati dalla debolezza sempre più grave dei servizi che si occupano dei bambini e degli anziani, dei pazienti psichiatrici e dei tossicodipendenti, degli immigrati e dei minori che arrivano con loro. Dei diritti di quelli che contano poco, cioè, perché non hanno rappresentanti: in politica, sui giornali e nei talk show televisivi.

Nessun commento: